CONSIDERAZIONI EPISTEMOLOGICHE SULLA QUESTIONE DELLA SALUTE

UN CONFRONTO TRA DUE PRINCIPALI SCUOLE DI PENSIERO NELLE LORO VICISSITUDINI STORICO-CULTURALI E IN VISTA DI UN PROFICUO INCONTRO TRA I RISPETTIVI OPERATORI

di Maria Luisa Agneni e Pier Luigi Lando

RIASSUNTO

Vengono confrontate due principali metodiche teorico-cliniche: l’allopatica e l’omeopatica sullo sfondo dell’evoluzione storica del pensiero, in generale.
In particolare, si centra l’attenzione sulla dicotomia che in modo più evidente si è verificata di recente tra i due princìpi di ippocratica memoria, ossia dei simili e dei contrari.
Grazie a un processo di selezione culturale, la linea allopatica aveva raggiunto il predominio pressoché assoluto sino a qualche decennio fa.
In questi ultimi anni, l’omeopatia sta guadagnando terreno.
Anche se le due concezioni appaiono inconciliabili, tuttavia si auspica un responsabile confronto tra gli operatori dei rispettivi approcci terapeutici a beneficio dei pazienti.

Parole chiave:

selezione culturale
criterio effetto immediato
allopatia-omeopatia
contrari-simili
energia vitale
olismo-riduzionismo.

“Qualunque medicina si struttura su di un fondo teorico”
A.G. Sabatini (1)

L’Homo sapiens sapiens da sempre ha fatto di tutto per scoprire in che modo andavano le cose nel suo ecosistema per cui è stato indotto a formulare teorie, pur correndo il rischio di rimanere intrappolato in pregiudizi deformanti le successive esperienze.
Le stesse teorie, invece, possono assumere dignità scientifica allorché si riesce ad attuare una sistemazione di assunti con la disponibilità a una costante verifica.
In proposito, sarebbe auspicabile che il tempo dell’Ipse dixit fosse tramontato definitivamente, essendo la sua posizione tra le più lontane da quella dell’autentico uomo di scienza. In effetti, secondo la Scuola di un ricercatore statunitense Paul MacLean, nel nostro cervello è purtroppo in agguato un’area detta dell’Eureka! che ci induce a ritenere paranoicamente valido un nostro convincimento indipendentemente dalla realtà (2).
Pertanto, l’uomo di scienza dovrebbe tenere conto di questo insidioso “spiritello” che contribuisce a esacerbare e a complicare la già prepotente istanza per il predominio, comune più o meno a tutti i viventi. A tutti i viventi, giacché essa in qualche modo proviene dalla comune propensione (istinto negli animali) all’affermazione propria e della specie che comporta la lotta per la sopravvivenza. Per giunta, questa universale propensione, per motivi che qui sarebbe troppo lungo illustrare, nell’uomo tende a degenerare in senso “prevaricatorio” sino alla più feroce e gratuita aggressività violenta.

IL RUOLO DELLA SELEZIONE CULTURALE (3)

E’ verosimile immaginare che agli albori della storia umana si sia proceduto per tentativi ed errori anche riguardo ai problemi della salute. A mano a mano che si accumulava esperienza, alcune persone si specializzavano divenendo esperte in materia. Nel contempo, mediante un processo di selezione culturale, si è andato strutturando un corpus teorico che si conformerà sempre più a una forma mentis comune ad altre aree dello scibile.
Tale selezione si è andata costituendo e rafforzando perché siamo rimasti troppo affascinati dal criterio dell’effetto immediato e quindi ogni nostro intervento è stato memorizzato come più o meno valido a seconda della sua capacità di ottenere immediatamente l’effetto desiderato su una determinata manifestazione problematica e di maggiore preoccupazione. Di questo passo, abbiamo perso di vista una più profonda ed estesa matrice da dove si genera buona parte dei nostri problemi (4).
Con il senno di poi, oggi possiamo renderci conto che l’operatività risente di tali premesse in quanto si è venuto a costituire un circolo vizioso tra i risultati ottenuti mediante i mezzi che hanno dato l’impressione di aver risolto un determinato problema e la forma mentis, per cui siamo sempre più portati a ricorrere a soluzioni tampone.
Su questa falsariga - così com’è avvenuto per altri campi della nostra vita - anche il mondo della medicina è rimasto fortemente influenzato dallo sviluppo della forma mentis sopra accennata; ma, nel corso dei secoli e in vari luoghi, sono pullulate concezioni e metodiche diverse che, per non essere in grado di competere con quella “ad effetto immediato”, sono rimaste nel sottobosco della conoscenza. Oggi, per varie ragioni - tra le quali le disfunzioni di un’elefantiaca organizzazione sanitaria e le attese magico-onnipotenti degli utenti - assistiamo a una specie di rinvigorimento-rivalsa da parte delle teorie e metodiche già escluse dalla scienza dominante.

DUE LOGICHE CONTRAPPOSTE

In questa sede non si prendono in considerazione le pratiche magiche basate sul carisma ad effetto placebo dei cosiddetti guaritori, maghi e via di seguito.Secondo la tradizione più accreditata, nel mondo della medicina, a partire da Ippocrate, si sono delineate due principali concezioni: l’allopatica e l’omeopatica. Com’è generalmente noto, la prima ha avuto il sopravvento incontrastato nella cultura occidentale sino a pochi anni fa.
Lungi dal prendere posizione a favore dell’una o dell’altra, questo scritto si assume un compito limitato a un’equidistante illustrazione delle principali caratteristiche dell’una e dell'altra posizione nei confronti della filosofia della scienza.
Dato per pacifico che l’indicazione chirurgica rappresenta un limite per ambedue, esse si differenziano dal momento che il quadro clinico considerato da ciascuna è sostenuto da fondamenti teorici che partono da valutazioni etiologiche alquanto diverse.
Una delle fondamentali differenze è di ordine semeiotico, cioè riguarda la chiave di lettura dei sintomi che caratterizzano un determinato quadro clinico, dalla febbre alle eruzioni cutanee, nonché ai sintomi psichici.
Le diverse chiavi di lettura dei sintomi si ripercuotono a loro volta sui rispettivi inquadramenti nosografici e, di conseguenza, su un’accentuazione altrettanto diversa delle strategie seguite nel momento diagnostico e terapeutico.
Per l’omeopatia (6) i sintomi hanno il significato di reazioni vitali dell’organismo, ossia rappresentano le potenzialità reattive dell’organismo che costituiscono la Vis medicatrix naturae che tende verso l’autoguarigione. Pertanto le modalità secondo cui una persona reagisce nei confronti di ogni variabile vengono individuate mediante un’anamnesi particolarmente accurata. Pur prendendo atto che oggi alcuni clinici allopati riconoscono la validità di questa visione, tuttavia nella nostra tradizione medica prevale ancora la tendenza a considerare del tutto negativamente “la malattia” che viene attaccata soprattutto nei sintomi. In proposito è appena il caso di sottolineare che, mentre la terapia allopatica si riferisce alla malattia, quella omeopatica tiene principalmente conto della persona considerata in tutte le sue peculiarità reattive costituzionali e nei confronti di qualsiasi evento e di ogni condizione relazionale interpersonale e ambientale. In realtà la concezione alla quale aderisce l’omeopatia non è esclusivamente sua: basti pensare che anche la psicoanalisi, sin dal suo inizio, considera la “repressione” delle manifestazioni sintomatiche tanto pregiudizievole per la salute quanto lo è la loro “soppressione” per l’omeopatia (7).
La medicina allopatica, pur non trascurando del tutto il terreno organismico, allorché riconosce come fattori etiologici ben precisi agenti patogeni esterni (come nelle malattie infettive), tende a ricercare mezzi esterni per combatterli, in particolare sostanze chimiche a dosi ponderali, sempre più efficaci e mirate contro tali agenti. Nel caso in cui essa ricorre alla stimolazione dei processi immunitari dello stesso organismo, l’accostamento con la logica omeopatica è più apparente che reale: infatti, le modalità di preparazione, rispettivamente, delle sostanze e dei rimedi adoperati non hanno nulla in comune.
Nel caso delle malattie metaboliche, la medicina allopatica adotta sostanze sostitutive o inibenti particolari enzimi. In ogni caso essa tende a sostituirsi ai processi dell’organismo, è più interventista e soppressiva rispetto al sintomo. La sua stessa terminologia classificatoria adoperata per i farmaci è indicativa: per esempio: antipiretici, antispastici, antidolorifici e via di seguito.
Dal momento che quasi tutti i farmaci consistono in sostanze che corrispondono al significato etimologico di farmaco (veleno), per quanto si cerchi di rimanere a dosi sub-tossiche, anzi quanto più possibile lontane da quelle dannose, tuttavia, tra gli effetti secondari indesiderati, oggi abbiamo il problema delle patologie iatrogene che, al momento della prescrizione, obbligano ogni medico che si rispetti a porre sui piatti della bilancia gli effetti desiderati e quelli indesiderati di ogni farmaco.
Poiché la medicina omeopatica confida di più sulle capacità vitali dell’organismo, essa agisce sull’energia vitale e, “convibrando” con essa, induce l’equilibrio della salute secondo la legge dei simili.
La sofferenza globale, ma naturale del malato viene guarita da quello stesso “farmaco” che l’ha prodotta in maniera artificiale nello sperimentatore. Il metodo di prova ed errore nel procedere con la conoscenza omeopatica è dato dalla sperimentazione continua di nuove sostanze di cui soltanto alcune sono attive e, da 200 anni, nella continua verifica nella pratica clinica.
La sperimentazione omeopatica consiste nella somministrazione, a doppio cieco, di dosi non tossiche a sperimentatori sani che hanno sviluppato i sintomi; i sintomi descritti nei dettagli e riguardanti ogni organo o apparato, oltre che la sfera mentale, sono l’espressione del turbamento della salute globale indotto dal farmaco. Con le procedure chimico-fisiche attuali non si può quantificare l’energia vitale di una persona.
Considerare la globalità del paziente e il suo soffrire in maniera peculiare e così trattarlo è un’altra differenza principale fra le due metodiche e quindi non si può nemmeno misurare e individuare quella del rimedio omeopatico. La riprova della sua azione terapeutica si basa soprattutto sui risultati che si riscontrano da 200 anni nella pratica clinica.
Un altro punto da segnalare, naturalmente quello della scuola unicista hahnemanniano, è che si tratta di un “metodo terapeutico” e non di una “tecnica”.
Ci auguriamo che le due concezioni possano incontrarsi in modo che le rispettive conoscenze, esperienze e metodiche possano giovare alla salute dei cittadini (8).

---------------------------------------------------

NOTE

1) Sabatini A. G. : Medicina e Morale Introduzione ad una Medicina Antropologica (pag. 3). USES edizioni Scientifiche, Firenze, 1982.
2)MacLean P. D.: Evoluzione del cervello e comportamento umano – Con un saggio introduttivo di L. Gallino - Nuovo Politecnico 139 - Einaudi, Torino, 1984.
3) Lando P. L.: Ecologia psico-sociale e salute, Edizioni Paracelso, Roma, dic. 1999.
4) Lando (1999) Op. cit.
4 bis) Lando P. L.: Criteri etici e analogie culturali e metodologiche tra la cultura estremo-orientale e l’occidentale. Atti XII Convegno Naz. Di Agopuntura dell’AIAM c/o Ist. Di Medicina Legale Univ: “La Sapienza”, Roma 6 marzo 1999, Edizioni Paracelso.
5) Laudan L. (pg. 191): Il progresso scientifico Prospettive per una teoria,
6) Agneni M. L. : L’Apporto clinico e preventivo dellomeopatia, in Lando (1999) Op. cit
7) Lando e R. Bani: Soppressione hahnemanniana e repressione freudiana, periodico Un Sorriso per la Vita (inserto nel Corriere di Roma ) 21. 2.1988). 8) Liguori A. : Medicine non convenzionali Considerazioni conclusive e proposte, in Lando (1999) Op. cit., pagg. 235 – 245.