PERCHE’ NON PARLO DI AMORE, MA DI “VALENZE RELAZIONALI”
Se
siamo disposti ad osservare quel che avviene nella realtà dei
rapporti interpersonali in modo disincantato, possiamo constatare
come con quanta frequenza essi si infrangano amaramente, vuoi quelli
di amicizia vuoi quelli di coppia coniugale. Ma soltanto quando tanti
drammi familiari assumono caratteristiche di cronaca nera raggiungono
la consapevolezza del grande pubblico su ciò che può
accadere in seno a quel gruppo che comunemente viene ritenuto come
la più sincera culla degli affetti.
In base a quello che risulta da un esame più approfondito di
questo ecosistema - specialmente dall’osservazione psico e socio
dinamica che ormai, condotta con specifiche metodiche, ci offre dati
preziosi da quasi mezzo secolo - siamo indotti a rivedere la massima
latina dianzi citata in senso pessimistico, vale a dire che spesso
si dà alle persone care il contrario di quello che, con le
migliori intenzioni di questo mondo, si intende e si crede di dare.
In altre parole, con la copertura di espressioni come quelle di amore
e di affetto, si rischia di contrabbandare tutt’altro.
In effetti, chi non ha avuto la possibilità di sviluppare la
propria personalità in modo armonico si trova nelle condizioni
di un falsario che in buona fede intenda fare della beneficenza, che
ovviamente farebbe con denaro falso. Fuori della metafora, una persona
cara, in perfetta buona fede, rischia di ostacolare l’evoluzione
della personalità di chi dipende affettivamente da lei, dando
“affetto”: per esempio, super-proteggendo un figlio e
ignorando il significato di ben determinate manifestazioni evolutive
che spesso risultano fastidiose - si pensi alla cosiddetta fase dell’opposizione
e dei dispetti che è indice e modo di differenziazione della
personalità, ossia dell’Io che sta esercitando i propri
muscoli - si rischia di bloccare la sua nascita psicologica e una
sua armonica evoluzione.
Chiunque ha avuto modo di osservare quel che realmente accade nelle
migliori famiglie ha potuto constatare come ciascuno dei componenti
possa soffrire la più amara solitudine, quanto sia difficile
essere se stessi, in breve come sia ostacolata la nascita psicologica,
l’acquisizione di una identità secondo il proprio progetto.
I genitori, che di solito si trovano incastrati nel ruolo di cinghia
di trasmissione tra i messaggi socio-culturali e il figlio, preoccupati
di “educare” questi in modo da assicurargli un avvenire
più che soddisfacente, non riescono a tenere conto delle istanze
provenienti dalle sue potenzialità progettuali, mentre fanno
di tutto perché si adegui a un’immagine ideale, quella
che secondo loro darà maggiori garanzie per una vita al meglio
possibile per lui/lei. Si deve notare che, purtroppo, sono ancora
molti gli aspiranti genitori che giungono alla formazione della coppia
con i problemi che a loro volta hanno ereditato dai propri familiari.
In proposito, si deve rilevare una volta per tutte che, mentre è
convinzione generale che la buona volontà possa prevalere sempre
su ciò che proviene dai livelli profondi della nostra psiche,
in realtà, spesso avviene il contrario: come per altri fenomeni
umani, la condizione di clandestinità delle istanze nascoste
e ignorate nella psiche è avvantaggiata. In altri termini,
sono le componenti irrazionali che, con la complicità di ben
precisi processi psichici, riescono ad asservire le funzioni più
elevate, magari per farsi coprire con alibi ideologici e perfino religiosi.
Si pensi, per esempio, a quanti delitti sono stati perpetrati in nome
di valori sacrosanti e universali quali la giustizia! Non è
in nome della Giustizia che si giustifica tuttora e in Paesi che si
proclamano democratici la pena di morte? Altrettanti misfatti si compiono
in nome dell’Amore. Quante volte si legge sui giornali o si
sente rispondere in un’intervista da qualcuno che ha ucciso
la fidanzata, l’amante, il coniuge: perché l’amavo
troppo! Ancora una volta occorre ribadire il concetto che non si può
combattere un nemico se non si sa neanche della sua esistenza, se
non lo si conosce a fondo.
Ogni studioso della psiche umana sa come e quanto essa tenda a nascondere
quanto è sgradito ai livelli di consapevolezza, quindi quanto
e come tenda a ingannarci. Pur è vero che lo fa a fin di bene.
Si pensi allo svenimento che, di fronte a una situazione emotivamente
insostenibile, funge da salvavita.
I cosiddetti meccanismi di difesa della psiche, che tendono a ostacolare
o a camuffare l’emergenza di quel che di spiacevole, comunque
di inaccettabile è nei suoi più profondi meandri hanno
una funzione analoga a quella dello svenimento.
L’innamoramento
e l’ipoteca delle attese
E’ noto che l’innamoramento comporta una visione idealizzata
di ambedue le parti.
La comune constatazione che quando si è innamorati “si
perde la testa” a volte corrisponde a una condizione che ha
a che fare con il plagio se non addirittura con l’ipnosi. Non
è altrettanto noto che gli occhi, lo sguardo giocano un ruolo
di primo piano per l’innamoramento? Alfredo della Traviata lo
canta così: “Poiché quell’occhi al core
// onnipotente va. Da qui la colorazione in rosa ( e verde-speranza)
delle aspettative. Tra queste sembrano avere maggior peso controproducente:
- da parte di lui, che la donna sia per natura dolce, angelica, maternamente
disponibile;
- da parte di lei, che le attenzioni che egli le presta durante la
fase del corteggiamento durino per tutta la vita.
Spesso, sia lui che lei sono rispettivamente alla ricerca della “donna
della mia vita” e dell’ “uomo della mia vita”.
In realtà, le cose “in natura” vanno molto diversamente,
nel senso che gli atteggiamenti di reciproca e seduttiva attenzione
provengono da livelli molto ancestrali del cervello e durano fintanto
che si forma la coppia coniugale.
Capita quasi di regola che lui, dopo essersi assicurato del possesso
di lei, si occupi di tutt’altro e lei si dimostrerà affatto
dolce, appartenente al cosiddetto gentil sesso.
Un’ulteriore complicazione conseguirà alla strategia
inconscia di lui di solleticarla sul fianco della maternità,
il che, a sua volta., aggraverà la componente attrazione sessuale.
Capita che egli pretenda di raccontare a lei le sua avventure con
altre donne come se volesse rafforzare il messaggio che, psicologicamente,
lei non è più la sua partner coniugale.
Se ambedue non ricorrono a un approfondimento psicodinamico, difficilmente
sapranno mai i motivi reali delle loro frequenti liti inframezzate
da riconciliazioni.
Quindi nulla da fare?
No! Se siamo disposti a renderci conto di come stanno le cose e di
liberarci dalla patetica tendenza umana a preferire l’auto-inganno
e la pigrizia mentale alla fatica di conoscere la realtà anche
quando è dura, se siamo disposti a imparare anche dalle altre
specie, in particolare per quanto riguarda l’allevamento della
prole, allora scopriremo che c’è tanto da fare, forse
tutto da rifare.
Se è vero che occorre conoscere il nemico contro cui si intende
combattere, nessuno stratega che si rispetti potrebbe affrontarlo
senza preoccuparsi di conoscerlo, di sapere quanto più possibile
delle sue risorse. In modo analogo, un medico avveduto si accinge
a passare al momento terapeutico dopo aver fatto la diagnosi.
Allo stesso modo, sarebbe indegno dell’intelligenza umana pretendere
di risolvere un problema senza essersi reso conto della sua natura.
Soltanto quando il tipo di intervento che intendiamo adottare combacia
specularmente con la natura del problema possiamo aspettarci risultati
positivi.
Se in passato l’andare a tentoni, per prove ed errori era giustificato
dalla mancanza di conoscenze, oggi che disponiamo di conoscenze che
ci provengono da diverse aree dello scibile, specialmente per quanto
riguarda la genesi, l’evoluzione, la problematica della relazionalità
umana e le metodiche per prevenirla e avviarla a soluzione, è
più che colpevole persistere seguendo acriticamente la tradizione,
mentre la realtà quotidiana ci avvisa che le cose non vanno
secondo le nostre aspettative.
Cominciamo con il rilevare come si parte per mettere su famiglia
Se per combattere un nemico, bisogna anzitutto scoprire la sua esistenza
e conoscere quanto più possibile circa le sue risorse difensive
e offensive, anche per sgominare quelli che possono minare la felicità
della coppia coniugale e della famiglia, occorre scovarli.
In considerazione delle risorse che si impiegano per la celebrazione
del matrimonio, viene in mente quel che scrisse Riesmann nel suo libro
“La folla solitaria” che si comporta come se fosse telecomandata,
procedendo nella vita automaticamente e, prevalentemente, in base
a suggestioni di mercato. Come nelle ricorrenze festive pubbliche
e private, anche la celebrazione del “giorno più bello”,
l’evento “fatidico del matrimonio” non sembra sfuggire
alle suggestioni sopra accennate.
Tra i fattori-rischio del tanto auspicato amore eterno, che dovrebbe
assicurare una vita coniugale soddisfacente e durevole, ve ne sono
due a carattere generale che, per la precarietà della loro
natura, ovviamente, non possono assicurare una lunga durata:
- la componente attrazione fisica;
- la componente sentimentale.
Inoltre, vi sono da tenere in conto i quasi immancabili problemi psico-emotivi
da carenze e traumi risalenti all’infanzia e che costituiscono
il leitmotiv di questo scritto.
Quali gatti ci covano sotto il desiderio dei figli ad ogni
costo
Tra i fattori più pregiudizievoli per uno sviluppo della personalità
secondo il proprio progetto, vi sono alcune motivazioni a mettere
al mondo figli.
In proposito, mentre si ritiene che il desiderio di averli corrisponda
a un atteggiamento genuino e positivo, in realtà, al lume di
conoscenze psicodinamiche, si deve riscontra che la componente coattiva,
cioè quella di avere il figlio ad ogni costo, può essere
indice di patologia del desiderio, ossia nascondere sottostanti problemi,
pregiudizievoli per un’armonica crescita del figlio stesso.
Per esempio, a interviste più o meno formali, si sente spesso
rispondere che si desiderano dei figli perché; “Mi piacciono
i bambini!”.
A parte il fatto dell’assurdità di una tale attesa, se
si vanno ad approfondire le motivazioni più profonde, viene
fuori quanto di più problematico si possa immaginare. Basti
pensare che tra i figli più desiderati ci sono quelli più
maltrattati. I figli possono venire al mondo in base alla dinamica
della compulsione a ripetere, ossia a una dinamica perversa per cui
si è ossessivamente indotti a riproporre, tramite la nascita
di un figlio, l’esperienza traumatica subita durante la propria
infanzia a causa della nascita di un fratellino che gli ha sottratto
le cure parentali quando ancora ne aveva bisogno.
Occorre sottolineare il concetto che vi è una continuità
tra patologia e “normalità” per cui componenti
di coattività si possono, in varia misura, riscontrare tra
la popolazione “normale” in una percentuale molto superiore
a quella che comunemente si ritiene. In proposito molti credono che
il ridimensionamento di reazioni come quella della rivalità
fraterna vada di pari passo con l’età anagrafica. L’esperienza
psicodinamica rivela che non sempre la maturazione dell’Io,
la diminuzione dell’esigenza di avere la madre tutta per sé
procede con la crescita cronologica.
Per l’evoluzione dell’Io e delle “valenze relazionali”
sono indispensabili ben precisi fattori e condizioni eco-psico-sociali
che vanno da un rapporto accretivo con la madre, con il padre e, successivamente,
con coetanei e con altre persone adulte sino alle attività
di gioco. Occorre rilevare ancora che oggi, i bambini hanno più
possibilità di consumare giocattoli che di giocare secondo
le esigenze dello sviluppo psicomotorio. Le altre specie ci potrebbero
dare lezione al riguardo.
La famiglia nucleare, isolata da un contesto comunitario, come dimostra
l’esperienza accumulata specialmente con la psicoterapia familiare,
genera problemi, soprattutto perché la figura che dovrebbe
prestare adeguatamente le cure parentali di solito è contesa
da altri.
“Valenze relazionali”
Vale la pena di considerare a parte questo concetto per la sua importanza
psico-sociale. In analogia alle valenze chimiche - tenendo però
presente che ogni analogia ha i suoi limiti e va presa con le pinze
- le valenze relazionali corrispondono alle potenzialità di
“combinarsi” con altre persone e, in un certo senso, a
formare legami affettivi con tutte le componenti materiali e simboliche
del proprio ecosistema.
Esse si possono distinguere in:
- primarie (legami originari con la figura parentale),
- secondarie.
Queste ultime, a loro volta, si possono distinguere in:
- amicali,
- pedagogiche (in queste sono comprese quelle psicoterapeutiche);
- coniugali:
La possibilità del passaggio da un tipo all’altro di
valenze, specialmente per quanto riguarda quelle coniugali, ha conseguenze
perfino drammatiche nella vita della coppia e quindi della famiglia.
Per esempio, se - o al momento che - in uno o in ambedue i partner
prevalgono quelle di tipo primario, cioè psicologicamente non
ci si percepisce più come coniugi, ma come genitore/figlio/a,
fratello e sorella e così via di seguito. Il rapporto sessuale,
sia pure inconsapevolmente, viene allora vissuto come incestuoso,
dando luogo a complicazioni che vanno dall’inibizione sessuale
sino a manifestazioni comportamentali che rientrano tra i “conti
da regolare per via transferale”. Insomma, si diviene simbolo
di figure della famiglia di origine e siccome la psiche fa di tutto
per salvare i rapporti più profondamente radicati, i quasi
immancabili risentimenti nei confronti di questi tendono a scaricarsi
contro figure simboliche. Quindi, una delle meno fatalmente deleterie
conseguenze è quella che si va avanti a forza di liti e riconciliazioni.
Il “tradimento” e le cosiddette “corna”, quindi”,
consisterebbero in una fuga da un rapporto vissuto come incestuoso.
Oltre al motivo per cui si “fugge” dal rapporto coniugale
e si va alla ricerca di rapporti extraconiugali perché prevalgono
le valenze di tipo primario, vi è quello determinato dal vissuto
del sesso come sporco. Mentre nel primo caso l’impotenza relativa
può trovare soluzione in una serie di rapporti da Don Giovanni
o da Messalina, ossia con partner con i quali non si ha un rapporto
affettivo, nel secondo caso, si tende verso i rapporti mercenari con
prostitute.
Non sarà a caso che, sia nell’uno che nell’altro
caso, rimane un rapporto caratterizzato da dipendenza, da angoscia
abbandonica, da ambivalenza, cioè con quelle connotazioni della
cosiddetta “sindrome della cotta” che ricordano il tipo
di rapporto in cui la fase simbiotica con la madre non si è
adeguatamente risolto. E’ ovvia l’importanza di riconoscere
tempestivamente con che tipo di valenze ci si accoppia e si procede
nella vita coniugale.
Su che cosa possiamo contare?
Anzitutto sulla “voce del sangue”, vale a dire sulle informazioni
eredogenetiche e, quindi, sulle istanze del livello di organizzazione
più antico del nostro cervello. Queste devono essere integrate
dalle informazioni che si acquisiscono con l’esperienza.
Quindi, dal momento che il comportamento umano è la risultante
di un’interazione tra informazioni innate e informazioni acquisite,
è importante che queste ultime siano in armonia con le prime,
pena comportamenti conflittuali, contraddittori, dalla psichiatria
tradizionale etichettati come nevrotici.
In definitiva, per avere una società migliore, occorre rendersi
anzitutto consapevoli della situazione in cui ci troviamo e in base
alle conoscenze emergenti da un rigorosa analisi della situazione
stessa, intervenire sia in senso preventivo primario sia riparativo.
Le agenzie della famiglia e della scuola sono tra quelle che richiedono
di più la nostra attenzione. Tra l’altro, occorrerebbe
che gli addetti, piuttosto che aspettare che tante persone giungano
al loro studio come pazienti, dedicassero le loro prestazioni anche
sul piano preventivo, se non per altro, perché la nostra società
rischia sempre più di divenire una giungla, compromettendo
anche la loro sicurezza e la possibilità di vivere civilmente
per tutti.
Roma 8 settembre, 2000 ________________Pier
Luigi Lando