FISIOPATOLOGIA DELL’ASSETTO SOCIALE

IL PROCESSO DI SELEZIONE CULTURALE

Anzitutto è doveroso chiedersi se sia epistemologicamente lecito azzardare un’analogia tra organismo vivente e apparato socio-culturale. Il tentativo non è nuovo e chi l’ha fatto s’è attirato polemiche più o meno stroncanti.
In effetti, questo scritto non pretende altro che l’uso analogico del termine “fisiopatologia”, per ricercare eventuali linee di sviluppo culturale favorevoli o sfavorevoli al nostro benessere e apportare qualche contributo alla conoscenza delle condizioni e dei fattori che abbiano potuto giocare in un senso o nell’altro.
Intanto, appare di fondamentale importanza individuare qualche costante, a partire da un’epoca in cui le notizie storiche risultano attendibili e significative rispetto al modello socio-culturale che ci riguarda più da vicino.
A tal fine, ci soccorre quanto afferma Lewis Mumford nel suo Il Pentagono del Potere, (Ed. Il Saggiatore, Milano, 1973) e cioè che l’invenzione e l’affermazione delle macchine come indice dell’anelito all’estensione del potere da parte dell’uomo abbiano avuto inizio nell’Egitto dei Faraoni.
Porterebbe molto lontano dall’economia di questo scritto ricercare i perché proprio lì iniziò a svilupparsi questa tendenza culturale, in modo macroscopico e invadente.
L’apporto da altre importanti fonti culturali, da quella araba ed ebraica a quella greco-romana, induce a proporre una nuova analogia: tra sviluppo selettivo filogenetico e lo sviluppo del modello culturale dominante nel mondo occidentale e occidentalizzato: in base a questa premessa, potremmo parlare di selezione culturale per indicare il processo della formazione di tale modello.
Come l’analogia fa intendere, grazie a esso, nel corso del tempo, nella forma mentis dominante nella nostra cultura si sono andati affermando tali modelli di comportamento, norme, costumi, usanze, provvedimenti al punto da identificarsi con la civilizzazione, mentre se ne sono esclusi altri.
Oggi appare attendibile l’ipotesi che uno dei criteri guida per la selezione e la strutturazione dei vari apporti per l’attuale logica predominante sia stato quello della sua immediata rispondenza allo scopo, vale a dire l’ottenimento di un soddisfacente risultato in senso del potenziamento delle capacità umane, della soluzione immediata di un problema. Un altrettanto efficace apporto culturale si è avuto ad opera di un forte potere suggestivo emergente dal carisma di persone che si siano sapute imporre con le loro convinzioni fondate spesso, per esempio per quanto concerneva i misteri dell’Universo e dell’origine di fenomeni naturali, sulla prima spiegazione che gli veniva in mente.
Con il senno di poi, oggi constatiamo che specialmente la tendenza a ottenere l’effetto desiderato, divenuta coattivamente esasperata, ha finito per far perdere di vista gli effetti controproducenti sull’insieme. Questo è avvenuto per l’ecosistema fisico-naturale come pure per quello socio-culturale, nonché per l’organismo dei vari viventi e, quindi, per tutti noi. Il mondo della medicina ne ha pagato le più pesanti conseguenze specialmente nella posizione di sofferente.

UNA NUOVA BABELE IN UN ASSETTO SOCIO-ISTITUZIONALE ALL’ARSENIO LUPIN

Tra le principali ragioni dell’incomunicabilità vi è quella dei pregiudizi, di essere prevenuti nei confronti di chi presenta un progetto di cambiamento, del resto giustificati da quanti, nel corso della storia, si sono presentati in veste di “Uomo della Provvidenza”, con risultati tragicamente noti.
Oggi, forse più che mai, la diffidenza reciproca porta a centrare l’attenzione piuttosto per scoprire da che pulpito l’interlocutore stia parlando anziché sul contenuto del suo discorso.
Da qui, l’impressione di una situazione da Torre di Babele, mentre quella di trovarsi di fronte a un assetto sociale che cambia soltanto nelle apparenze dà l’idea di travestimenti da Arsenio Lupin.
Ancora, tra le possibili anticipazioni di quanto sto per esporre, pare che uno dei più determinanti motivi del successo di tanti tribuni sia dovuto ad attese da infantilistico pensiero magico-onnipotente per cui si è portati a ritenere che chi si trova sul podio del potere sia realmente il tenutario del potere, ossia che - specialmente per quanto riguarda la situazione politica attuale - egli sia effettivamente in grado di realizzare il programma che egli stesso aveva presentato in modo convincente durante la campagna elettorale.
La storia di ogni tempo e luogo dimostra, invece, che, in effetti, le leve del potere sono piuttosto in mano di chi sta dietro le quinte, di chi, per vari motivi, ha sostenuto l’ascesa al potere del leader e principalmente da chi detiene il potere economico-finanziario.
Il leader, che ha prevalentemente compiti da attore, di prestanome o addirittura di comparsa, spesso si trova nella posizione del capro espiatorio: dal punto di vista psico-sociale, le rispettive dinamiche non sembrano differire sostanzialmente.
Nel corso di questi secoli, da quando si è avvertito “il disagio della civiltà”, non sono mancate le denunce e i tentativi di cambiamento.
Le prime hanno alimentato le iniziative di condottieri e di cosiddetti rivoluzionari in genere i quali hanno ritenuto che con l’eliminazione degli attuali tenutari del potere si sarebbe potuto dare un nuovo corso alla storia umana.
Se si può prendere alla lettera quanto ci tramandano i Testi Sacri, Bibbia compresa, questi tentativi sono stati compiuti, con i risultati fallimentari che sappiamo, perfino dalla massima Entità Divina.
L’eliminazione fisica di tiranni e dei cattivi, le più drammatiche e radicali rivoluzioni di tempi più vicini a noi non hanno sostanzialmente mutato il tipo di rapporti di potere e gli interessi di mercato: i cambiamenti avvenuti riguardo alle apparenze (vestiario ecc.) e alle strategie del mantenimento dei rapporti fondati sui ruoli gabbano tuttora molti.
Tra l’altro, si può spesso constatare come l’ostracizzazione di tenutari di un potere non significhi la fine delle loro subdole manovre che proseguono personalmente o tramite i seguaci e, allorché vi sia stata la loro eliminazione fisica, dagli eredi.
Da persone peraltro autorevoli si ascoltano spesso discorsi che sollecitano il rispetto di valori sacrosanti, in quanto sono giustamente convinte dell’importanza di ben determinati valori per un domani migliore per tutti. Purtroppo queste anime belle non tengono in debito conto che i valori costituiscono una risultante di un’evoluzione della personalità dei singoli cittadini il che richiede ben più profondi impegni, mentre i risultati sono possibili, ma a lungo termine.
Se tale evoluzione continua a verificarsi in modo disarmonico per la maggior parte dei componenti una collettività, i risultati non possono essere diversi da quelli che la nostra storia ci ha dato sinora.
All’insegna della proclamazione di valori auspicati e auspicabili, quali Uguaglianza, Libertà, Fraternità, Giustizia, si sono perpetrati i più raccapriccianti delitti, per finire di favorire l’ascesa al potere di nuovi tiranni, comunque di dominatori i quali, pur adoperando metodi apparentemente più soft, non per questo si sono ottenuti rapporti e trattamenti più equanimi: basterebbe pensare alle attuali sperequazioni in materia di stipendi, liquidazioni, pensioni. L’eliminazione dei privilegi rimane una specie di Araba Fenice, una Chimera, mentre etichette come quella di democrazia sembra piuttosto tesa a mistificare il dominio plutocratico, ossia ciniche forme di capitalismo.
Chi è stato più motivato a esercitare il più crudo dei poteri, di spadroneggiare sui sudditi e di uccidere i propri simili ha da sempre teso alla ricerca di alibi accettabili e perfino lodevoli, al punto da essere additato dalla Storia ai posteri come eroe.
Nel Medioevo, con buona pace dei precetti evangelici, la cosiddetta riconquista del santo Sepolcro offrì a tanti l’opportunità di massacrare innumerevoli esseri umani.
Un paio di secoli fa, alcuni animati da istanze sadiche si inventarono la Santa Inquisizione e mascherati con un saio domenicano, scaricarono la più perversa violenza in nome della Giustizia Divina.
Tra i contemporanei, Hitler e Stalin ricorsero con successo a usare piuttosto come specchio per le allodole, oltre a una legittimante divisa militare, anche un’allettante etichetta ideologica.
Viene da chiedersi perché, mentre quasi nessuno oserebbe affermare che Hitler fosse un socialdemocratico, per la Russia di Stalin si parli ancora di socialismo reale.
In proposito, cito una mia distinzione tra funzione militare (accostabile ai modelli delle prestazioni parentali o dei componenti anche una società di specie anche filogeneticamente lontane della nostra deputati alla difesa degli inermi) e la logica militarista (degenerazione nevrotica della precedente) pubblicata sulla rivista “L’Intervista Medica” n. 1 - Gennaio, 1987 e un altro dialogo sul tema: Voglia di Uccidere Nemico Interno Ed Esterno - Inquinamento bio-psicologico e sociale apparso sulla stessa rivista n. 1 gennaio 1983.
Se si accoglie l’esortazione del Manzoni: “ai posteri l’ardua sentenza”, chi di noi si sentirebbe di ritenere che il ricorso alla violenza cruenta di cui sono ricolme le pagine della nostra storia sia stata “vera gloria”?
Oggi, mentre solo pochi leader dominanti su un palcoscenico di questo pianeta ricorrono alla divisa militare, per dare una parvenza di legittimazione alla loro leadership totalitaria, rimane tuttavia preminente la tendenza a coprire reali tendenze di predominio mediante etichette ideologiche che, nonostante le evidenti contraddizioni, continuano a fare presa su numerosi cittadini e anche a ottenere il consenso della maggioranza.
Se si riconosce che tra i principali compiti di un governo vi sia quello di assicurare l’ordine pubblico per garantire alla maggior parte possibile dei cittadini la sopravvivenza e di condurre una vita soddisfacente, si può ritenere apprezzabile se riesce a espletare questo compito senza ricorrere a mezzi tirannici. Non per questo, tuttavia si è sulla via di una soddisfacente giustizia sociale.
Intanto, gli interessi di mercato prevalgono a tal punto che, mentre quasi un quarto della popolazione giovanile è disoccupata, si continua a incentivare le nascite sbandierando la motivazione della necessità di avere una sufficiente popolazione di lavoratori per poter assicurare la pensione agli anziani collocati a riposo.
I rapporti di potere, sia pure in vario modo attenuati nelle forme esplicite, ma in vari modi mascherati permangono, nonostante le forme di organizzazione di categoria e vari canali di protesta per raggiungere i responsabili (v. pena di morte civile da silenzio), le possibilità, per molti teoriche, di ricorrere alle vie legali.
Ancora una volta, a uno studioso di psicologia dell’età evolutiva, si presenta come possibile e più realisticamente promettente via di cambiamento quella delle tempestive e appropriate prestazioni parentali ed educative in genere perché la società sia costituita da persone che siano state allevate in armonia con il progetto personale e sociale.
In effetti, oggi abbiamo la possibilità di appurare come l’educazione tesa a inculcare principi morali e il buon esempio degli adulti non bastino a promuovere un’evoluzione armonica della personalità: se un cucciolo d’uomo rimane carente di adeguate prestazioni parentali o, peggio, se il bilancio dei traumi subiti è eccessivo rispetto alle gratificazioni e quindi per le sue possibilità di riequilibrarlo in modo positivo, si correrà il rischio che egli in nome degli stessi principi morali e rispettivi valori potrà perpetrare ogni genere di nequizie.
In definitiva, da dove iniziare?
Una più diffusa opera di sensibilizzazione per una quanto più possibile profonda presa di coscienza appare di preliminare importanza, tenendo conto che i discorsi ex cattedra sono destinati a lasciare più o meno il tempo che trovano. Migliori risultati si ottengono dai cosiddetti gruppi di cambiamento sociale, per la formazione dei genitori e degli educatori in genere.
Se si giunge a convincere la maggior parte degli aspiranti genitori e dei demografi che i figli non dovranno giungere in questo mondo per finalità estranee al loro progetto personale: per motivi narcisistici o per rendere possibile la liquidazione della pensione agli anziani, sarà un primo consistente passo verso un auspicabile cambiamento.
Da altre specie potremmo ricavare preziosi insegnamenti circa la prolificazione e l’allevamento della prole: gli animali in genere non prolificano laddove non sussistano condizioni favorevoli per uno sviluppo soddisfacente dei propri cuccioli. Basterebbe far caso che, quando essi prolificano in condizione di cattività, fanno notizia.

Così come stanno le cose, un’elevata percentuale di giovani (quanto per adeguarci ai criteri e al linguaggio degli economisti) e relative capacità e forza lavoro andranno sprecate.
Piuttosto che incentivare ulteriormente le nascite, non sarebbe più intelligente e proficuo per tutti far sì che i già nati e quelli che comunque nasceranno possano sviluppare le loro potenzialità al meglio?
Se conveniamo che un domani migliore non ce lo possiamo aspettare da chi demagogicamente ce lo promette e con plateali e carnevalesche manifestazioni tende a convogliare consensi giocando sull’emotività, non sarebbe il caso di immunizzarsi rinforzando il nostro raziocinio nei confronti di manipolazioni di questo genere, in modo da indurre gli aspiranti alla gestione della cosa pubblica a contare sui programmi da realizzare effettivamente?
Forse se fossimo meno disposti ad applaudire i tribuni populisti del genere sopra accennato, ci potremmo avviare sulla giusta via per rendere più serio il Mondo della Politica.