GUERRA
E PACE SECONDO “IL LIBRO DELLA NATURA”
E CHE COSA AVVIENE NELLA NOSTRA SPECIE “IN
CULTURA”?
L’antico
anelito di pace di buona parte degli esseri umani frustrato costantemente
dagli avvenimenti storici, che sempre più si dimostra chimerico,
dovrebbe indurci ad approfondire lo studio dei fattori e delle condizioni
che ostacolano e che favoriscono lo sviluppo di una relazionalità
armonica. In effetti, la questione della pace è in fondo riconducibile
alla tematica della qualità dei rapporti interpersonali.
In proposito, può giovare riprendere la distinzione in tre
modelli relazionali principali (Lando: “Introduzione all’ecologia
psico-sociale - per una nuova scienza della personalità e dei
rapporti” A. Armando, Roma 1976, ripresa recentemente dallo
stesso autore in"Ecologia psico-sociale e salute",
ed. Paracelso, Roma, 1999).
In base a quanto esposto in quelle sedi, l’auspicato modello
“con l’altro” rimane un obiettivo razionalmente
perseguito mentre noi rimaniamo tuttora ancorati a quelli del “senza
l’altro” e del “contro l’altro”. In
proposito si deve purtroppo constatare che perfino l’ottenimento
del “con l’altro” finisce spesso per assumere la
connotazione di alleanza finalizzata al “contro l’altro”.
A lungo raggio, nel corso dei secoli, si assiste a una specie di basculla
tra storia e cronaca, nel senso che, quando si ottiene un periodo
di pace a dimensione pubblica o internazionale, aumentano gli episodi
di violenza privata e viceversa
Da quando le pagine di storia ci raccontano quel che avviene tra gli
umani, si può constatare che cambiano i palcoscenici; ma, sia
pure in forme diverse, rimangono e prevalgono immutati nella sostanza
i fatti violenti, da quelli in ambito familiare a quelli tra i popoli.
Da più d’uno è stato rilevato che il primo delitto
riportato dalla tradizione è quello tra due fratelli che, oltre
a perpetuarsi tutt’oggi con le violenze in famiglia, si manifestano
sotto forma di contrapposizioni tribali più o meno cruente
sul versante sociale su tutto il nostro pianeta.
Quando certi fenomeni, come quelli delle tensioni violente, che sia
in senso sincronico sia in senso diacronico si presentano come costanti,
non ci si può aspettare che esse possano risolversi mediante
trattati di pace, appelli e iniziative diplomatiche
Per chiarire meglio la complessa questione in cui, nonostante le tante
iniziative diplomatiche internazionali e i tanti autorevoli appelli,
nonché i numerosi sacrifici eroici, ci troviamo impelagati
da secoli, potrà tornare di qualche utilità seguire
il criterio medico, comune del resto a quello dello stratega, vale
a dire che, per combattere efficacemente un nemico, occorre anzitutto
conoscere quanto più possibile su di lui e circa le sue strategie.
A questo punto, per sfatare una diffusa e pregiudiziale convinzione,
si precisa che comprendere in chiave bio-psico-sociale un fenomeno
non significa giustificare comportamenti eticamente riprovevoli, bensì
avere elementi per formulare una diagnosi che, a sua volta, consentirà
di intervenire sia in senso riparativo sia in senso preventivo.
E se “il nemico”, cioè l’insieme dei fattori
guerrafondai o buona parte di essi, si celasse all’interno di
ciascuno di noi”?
E’ l’ipotesi di lavoro che verrà privilegiata in
questo scritto che, tra l’altro, si propone di sfatare i su
accennati pregiudizi nei confronti del “comprendere” in
chiave bio psico-sociale. In effetti, si opera in senso responsabilizzante,
rendendo consapevoli e quindi ponendo in condizioni di liberarsi di
quei “nemici interni” coloro i quali (più o meno
tutti) li ospitano a loro insaputa che, con le loro subdole strategie,
sono in grado di inficiare ogni buona intenzione e di far passare
come tali pulsioni in vario modo e grado “inquinate”.
Con ciò non si intende ignorare condizioni ambientali naturali
e storiche che hanno senz’altro giocato ruoli perfino determinanti,
ma queste, oltre a essere evidenti, sono state da sempre prese in
considerazione già trattate con specifica competenza da altri
autori. Certamente occorrerà tenere conto di molti altri fattori
e condizioni che, sia pure per sommi capi, saranno affrontati analiticamente
in questo scritto per sollecitare qualche spunto di riflessione soprattutto
per andare oltre la consueta tendenza a considerare come causa prima
delle tensioni tra i popoli soltanto i momenti storici, in particolare
quelli economico-finanziari.
Questi quasi sempre si innestano su situazioni psicologiche formando
un circolo vizioso. Emblematico è il caso delle tossicodipendenze.
E il consumismo non conta su moventi psicologici? La pubblicità
a che servirebbe se non riuscisse a influenzare psicologicamente specialmente
per incentivare bisogni indotti “ad usum Delphini”?
Anche le interminabili lotte tribali tra due o più fazioni,
sembrano configurarsi come circoli viziosi tra moventi personali e
fatti storici. In ogni caso, cambiano le denominazioni, ma rimane
nel corso dei secoli la formazione di gruppi contrapposti l’un
contro l’altro armato. La constatazione che ogni autorevole
appello, le altrettanto autorevoli mediazioni diplomatiche, gli embargo,
i trattati di pace, istituzioni come quella delle Nazioni Unite ecc.
non siano riusciti a por fine alle guerre etnico-tribali ci richiama
alla mente quel che avviene “in natura”.
Per quanto riguarda le condizioni ambientali naturali, basti richiamare
quanto rilevato da E. Fromm nell’"Anatomia della distruttività
umana", vale a dire che popolazioni le quali vivono in aree
ubertose, dotate di clima mite, immerse nel verde, si dimostrano di
buon carattere e ben disposte verso gli altri, mentre l’opposto
si verifica tra le popolazioni abitanti in condizioni avverse per
clima, risorse alimentari, aridità del terreno. Queste conseguenze
caratteriali costituirebbero le condizioni predisponenti o diatesiche
per i successivi atteggiamenti e comportamenti.
Per quanto concerne le vicende storiche, viene da chiedersi se esse
siano state primarie o secondarie a comportamenti mossi da istanze
irrazionali e quindi da problemi di rapporto o, più precisamente,
a complicanze disevolutive delle relazionalità.
Al fine di inquadrare in un contesto di ricerca più ampio questo
lavoro e di approfondire la tematica della genesi, evoluzione e bio-psico-patogenesi
della relazionalità umana, è opportuno consultare “il
libro della natura” che per lo studioso delle tematiche eco-psico-sociali
costituisce una specie di Bibbia.
In effetti, se si conviene sul principio che per fronteggiare adeguatamente
ogni fenomeno problematico occorra anzitutto conoscere la sua natura,
allora sapere come stiano le cose sul piano biologico si dimostrerà
di fondamentale importanza.
Siccome la questione della pace e della guerra è essenzialmente
una questione di rapporti inter-individuali e inter-gruppali, allora
lo studio su come essi vengano gestiti nelle altre specie potrà
risultare illuminante. Intanto si deve constatare che la lotta costituisce
un appannaggio costante di ogni forma di vita.
Un altro stimolante spunto di riflessione può essere l’assunto
che Madre Natura, già nota perché “non facit saltus”,
contrariamente a noi acculturati secondo una logica razionalista,
non ama le distinzioni categoriali, né di ordine estetico né
di quello etico, quindi tra azioni buone e cattive, giuste e ingiuste,
morali e immorali, né sembra privilegiare il bello rispetto
al mostruoso, mentre mostra un’indomabile tendenza a esprimersi
in tutta una gamma di manifestazioni a ogni livello.
Particolarmente inquietante appare quel che avviene a livello cellulare.
Infatti, ciascuna cellula risulta programmata in modo da difendere
la propria individualità al punto da essere in grado di attaccare,
rigettando oppure fagocitando o distruggendo qualsiasi altra diversa.
Una specie di razzismo a livello cellulare?
Ancora più stupefacente, una volta tanto in senso positivo,
si dimostra quel che avviene a livello di insieme organismico: cellule
molto diverse, che costituiscono organi altrettanto diversi fra di
loro, finiscono per collaborare a vantaggio dell’economia vitale
dell’individuo e della specie.
Non solo, ma sul baobab, cioè in luogo e condizioni che potrebbero
risultare di elevato rischio per la sopravvivenza di tanti altri animali,
non solo si osserva un rapporto di pacifica coesistenza tra animali
appartenenti perfino a specie rivali e in rapporto da predatore a
preda, ma nella foresta avviene che creature con analoghi rapporti
si giovino di segnali d’allarme, lanciati da “sentinelle”
che ora sarà una scimmia e in un altro momento sarà
un uccello, perché tanti altri animali di diverse specie si
mettano al riparo da un comune nemico.
Questo fintanto che qualche fattore perturbante non intralci il funzionamento
e lo sviluppo dell’essere sin dai suoi primi momenti di vita.
Sarà possibile estrapolare quel che avviene in natura al piano
storico?
Sussiste, per es., anche nella nostra specie una predisposizione eredo-genetica
per ruoli di lotta come in altre filogeneticamente molto lontane dalla
nostra, quali le api e le formiche?
Particolarmente interessante è il concetto di antagonismo armonico
di Konrad Lorenz esemplificato nel parallelismo tra anziani conservatori
e giovani tendenti al cambiamento nei confronti della società,
da una parte e, dall’altra, l’azione plastica degli osteoblasti
e quella demolitiva degli osteoclasti nei riguardi dello scheletro
in fase evolutiva.
Fuori metafora, così come l’accrescimento dello scheletro
diviene possibile grazie all’antagonismo armonico tra l’azione
degli osteoblasti e degli osteoclasti, senza venir meno alla sua funzione
di sostegno delle parti molli, in modo analogo dovrebbe procedere
il cambiamento sociale in senso evolutivo grazie alla cooperazione
dialettica della categoria conservatrice con quella “rivoluzionaria”.
In Natura”, individui, gruppi, branchi provenienti da una diverso
patrimonio eredo-genetico; ma anche soggetti dotati di estrema aggressività,
mediante ben precisi rituali e apposite istanze istintuali, riescono
a convivere e cooperare in funzione dell’economia dell’insieme.
Un altro spunto di riflessione, che potrà chiarire l’intricata
questione del ricorso alla forza per fronteggiare i conflitti tra
due o più comunità umane, può essere quello dei
modi e della finalità per cui si lotta.
Ancora, “in Natura” sembra prevalere lo scopo della difesa
della prole, dei componenti di rango inferiore del branco, la difesa
di un territorio di vitale importanza per gli appartenenti allo stesso
ceppo eredo-genetico, la lotta per la conquista di una partner essenziale
anche questa per la sopravvivenza della specie.
Nella nostra specie, invece, sembrano prevalere motivazioni di potere
prevaricante che spesso si manifestano come atti di violenza fine
a se stessa.
A questo punto occorre tenere presente che se in origine saranno prevalse
le pulsioni biologiche, in seguito i risentimenti e i desideri di
vendetta hanno complicato il decorso storico delle stesse lotte (faide
ecc.), chiudendo un ennesimo circolo vizioso.
Anche nella nostra specie il ricorso alla forza riconosce la finalità
della difesa e da questo punto di vista si può ritenere che
la donna sia la più adatta al servizio militare: si tenga presente
che “in Natura” è spesso la femmina che è
deputata a difendere la prole persino nei confronti del partner e
dello stesso padre dei propri cuccioli.
In ogni caso quel che pone l’Homo sapiens in una condizione
di paradossale svantaggio rispetto alle altre specie è che
gli animali “sanno” non solo come allevare i propri cuccioli
al meglio delle loro potenzialità, ma anche come gestire le
tensioni intraspecifiche, mentre noi, che abbiamo un organo cerebrale
di gran lunga più complesso, anzi proprio per questo, non avendo
le “istruzioni per l’uso”, abbiamo dovuto procedere
e ancora stiamo procedendo per tentativi ed errori.
Una specie di processo di selezione culturale ci ha fuorviato
In
proposito la constatazione di quel che è avvenuto con l’evoluzione
filogenetica del cervello può giovare all’intelligenza
di alcune principali ragioni per cui, nonostante gli stupefacenti
progressi di conoscenze accumulate, oggi ci troviamo impelagati in
un groviglio di problemi e soprattutto perché, nei tentavi
di risolverne uno, ci troviamo di fronte all’emergenza di tanti
altri che spuntano come polloni dopo il taglio di un albero e hanno
indotto più d’uno a sentenziare che “il progresso
è regresso”.
Ci si riferisce al fatto che l’allontanamento del “livello
di organizzazione cerebrale” (MacLean) pre-programmato da quello
esecutivo, ossia della corteccia cerebrale, unitamente allo sviluppo
delle strutture intermedie, in particolare di quelle deputate alla
memorizzazione delle informazioni acquisite, ci può far comprendere
perché proprio l’Homo sapiens si sia trovato nella paradossale
condizione di non sapere il da farsi di fronte a tanti problemi della
nostra quotidianità e che vanno da quelli di gestire i rapporti
con la prole a molti altri quale recuperare la salute senza procurarsi
altri malesseri.
Con il senno di poi, oggi possiamo riconoscere che, in mancanza di
conoscenze contestuali innate, l’ottenimento dell’effetto
immediato, procedendo per tentativi ed errori, è stato
spesso un fattore fuorviante.
Questo, come appena accennato, è avvenuto con conseguenze piuttosto
gravi in diversi settori della nostra operatività, da quello
pedagogico a quello sanitario e socio-politico. Per esempio:
- per quel che concerne il rapporto educativo, si pensi al ricorso
ad espedienti, quali l’agitare fantomatici personaggi che vanno
dall’uomo nero al lupo e simili per controllare i comportamenti
fastidiosi dei bambini:
- l’adozione di rimedi ritenuti validi soltanto in base all’effetto
immediato sui sintomi ha portato a una vieta concezione allopatica
che, per la carenza di conoscenze contestuali più ampie, dà
spesso luogo a iatropatie anche gravi, nonché al ricorso facile
a inconsulte automedicazioni e all’assunzione di sostanze nervine,
da quelle casalinghe in quantità limitate generalmente non
dannose a quelle stupefacenti. In ogni caso, per far fronte a malesseri
da situazioni di disagio esistenziali e relazionali;
- l’uso di termini pregnanti di significati moralistici serve
spesso allo scopo di controllare i comportamenti anche di persone
adulte: si pensi ad espressioni come “fare le corna”,
“tradire” (che, in chiave psicodinamica potrebbero rivelare
ben altri significati), nonché a tutta la serie di epiteti
affibbiati specialmente alle donne che, specialmente in passato, osavano
prendere iniziative sessuali o le quali si mostravano “di facili
costumi”.
Insomma, l’aver riconosciuto validi espedienti come quelli appena
accennati, cioè di essere diffusi e tramandati culturalmente
in base al solo criterio guida dell’effetto immediato desiderato
su una manifestazione indesiderata e ritenuta come il vero unico problema
ha spesso contribuito a farci sdraiare sugli allori, ad accontentarci
e anche a rinunciare a una ricerca più “ecologica”
per intervenire in modo più razionale su problemi di tutt’altra
natura.
La
simbolizzazione, “croce e delizia” dell’Homo sapiens
E’
una facoltà prettamente umana e tra quelle più nobili
se si considera che, grazie ad essa, godiamo delle più stupende
produzioni artistiche.
Il risvolto della medaglia consiste nel fatto che, tramite la stessa
elaborazione psichica, subiamo i più subdoli inganni dal momento
che, tramite questo processo, la psiche può presentarci tutt’altro
al livello di consapevolezza.
Per comprendere bene questi fenomeni, occorre tenere presente che
la simbolizzazione di un qualcosa - che avendo uno o più elementi
in comune con qualcos’altro, la facilita - costituisce un momento
preliminare per il transfert.
Per es., la madre, memorizzata primariamente come odore e sapore principalmente
del latte, oltre a riproporre qualcosa che li ricordi associati, nel
caso più comune ogni tipo di latte, indurrà l’Io
a trasferire su di esso anche i risentimenti repressi nei confronti
della madre. Si ha la demonizzazione della parte per il tutto che
serve per trasferire su un bersaglio sostitutivo i risentimenti -
nella fattispecie verso la madre - repressi.
Analogo iter demonizzante si può avere per i genitali esteso
ad altri oggetti che avranno qualche elemento che li associ: topi,
serpenti, oggetti cavi e via di seguito.
Dal momento che la madre, ma anche il padre, vengono vissuti come
fonte di potere, di cibo e di ogni bene, un oggetto come il denaro,
anch’esso fonte di potere e di cibo, affettivamente e simbolicamente,
può prendere il posto dei genitori. Si hanno i casi in cui
l’accumulo di denaro e di beni diviene l’ossessione della
vita, il fine e non il mezzo per godersi la vita. Che, poi, il denaro,
come il potere, costituisce motivo di contesa privata e storica è
sotto gli occhi di tutti e sono innegabili ragioni oggettive, meno
evidenti sono i significati simbolici.
Un cenno alle condizioni e ai fattori di crescita eco-bio-psico-sociale
Come
altre nostre funzioni e facoltà, anche lo sviluppo di una relazionalità
armonica è allo stato potenziale e, per realizzarsi al meglio,
richiede ben precisi fattori e condizioni.
Il primo aggancio-anello della successiva rete relazionale si ottiene
con il rapporto simbiotico (primario) con la persona che accudisce
il bambino sin dai primi momenti di vita, di solito la madre che l’ha
concepito e partorito. Data l’ampia letteratura esistente a
riguardo, sarebbe superfluo insistere sulla sua fondamentale importanza.
Basti rilevare che la piattaforma sulla quale si costruisce la personalità
è la fiducia di base che, a sua volta, si fonda su due pilastri:
- la fiducia nella persona che, con costante dedizione, offre funzioni
complementari all’Io “fisiologicamente insufficiente”
del cucciolo d’uomo;
- la fiducia nelle proprie competenze a mano a mano che emergono,
avendo la possibilità di “collaudarle” di persona.
I successivi legami, sostenuti dalla certezza di non perdere i vantaggi
del rapporto primario e dall'attesa di ulteriori gratificazioni, costituiscono
la via reggia su cui procede la relazionalità.
Di fondamentale importanza sono le gratificazioni di cui usufruisce
il bambino durante un soddisfacente rapporto simbiotico con la madre.
Esse, attivando tempestivamente il sistema endorfinico, creano i presupposti
biochimici per il benessere somato-psichico della persona, governando
l’eutrofismo somatico, il funzionamento dell’immunità,
e il tono dell’umore. Insomma, preziose attività opposte
a quelle degli ormoni da stress.
Particolare menzione merita il gioco come fattore di crescita, nel
senso dello sviluppo e della realizzazione di buona parte delle potenzialità
somatiche, psicomotorie, psico-emotive, intellettuali e psico-sociali
secondo il proprio progetto-persona.
In proposito, non essendo questa la sede per sviluppare sufficientemente
questo aspetto evolutivo, si deve almeno rilevare che il senso del
ludico è una risultante di un’evoluzione armonica della
personalità specialmente nella sua dimensione relazionale.
Per quanto concerne specificamente il tema di questo scritto, si richiama
l’attenzione sulla funzione “metabolizzante” dell’aggressività
offerta dalle attività ludiche. In effetti, giochi naturali,
come quelli con la sabbia e con l’acqua, consentirebbero di
costruire, distruggere e ricostruire senza i problemi che pongono
i giocattoli strutturati secondo ben precisi modelli, in vero più
apprezzati dagli adulti. Purtroppo, oggi, come per tante altre attività
umane, anche le attività di gioco vengono incanalate secondo
interessi di mercato: la stragrande maggioranza di bambini consuma
giocattoli, ma non gioca secondo come madre Natura vorrebbe.
Conseguenze
da carenze e traumi durante le prime fasi evolutive della relazionalità
Per
comprendere come carenze e traumi, subiti specialmente durante la
fase del rapporto simbiotico, possano pesare anche in modo determinante
su uno sviluppo psicopatologico della personalità che interessa
il tema di questo scritto, occorre tener presente che il legame complementare
alle insufficienze fisiologiche delle competenze del piccolo corrisponde
a un’esigenza fondamentale di tutti gli esseri viventi: essere
comunque in grado di soddisfare le proprie esigenze vitali.
In altri termini, il cucciolo d’uomo può far fronte alla
lotta per la sopravvivenza mediante la prestazione di funzioni complementari
e, se il rapporto con la madre soddisfa questo tipo di esigenze, il
bambino si sentirà di esistere e potente. Se, invece, questo
senso di sicurezza viene scosso in grado sproporzionato rispetto alle
sue capacità, ma non al punto da pregiudicare gravemente il
successivo sviluppo della personalità, una delle conseguenze
più comuni sarà una serie di atteggiamenti negativi
nei confronti dei successivi approcci relazionali che andranno dalla
diffidenza ad una più o meno esplicita ostilità, nonché
a una smodata sete di potere. Peraltro è noto come Adler abbia
attribuito a condizioni di menomazione, a sentimenti e complessi di
inferiorità la volontà di potenza, attribuendo a una
tale coatta ricerca il significato di sovracompensazione.
La gravità delle conseguenze è comunque in rapporto
alle capacità funzionali dell’Io e dell’entità
e durata delle esperienze negative.
Altri
fattori e condizioni psicopatogeni
Dato
per acquisito che ciascuno di noi, di fronte a condizioni di grave
e permanente disagio, se non può reagire, in modo immediato
e diretto, secondo le due modalità naturali della lotta o della
fuga, previa rielaborazione intrapsichica, di solito, ha due possibilità,
borderline o addirittura psicopatologiche, di reagire secondo la cosiddetta
legge del taglione che vige nei profondi meandri della nostra psiche:
- etero-aggressivamente contro qualcun altro, ossia transferalmente;
- auto-aggressivamente, di solito somatizzando le relative tensioni
psico-emotive;
- per delega, ossia per interposta persona, (cfr. pure dinamica del
capro espiatorio, del paziente designato, delega ad attori teatrali
ecc.).
Le eventualità di disagio incidenti in modo rilevante sullo
sviluppo armonico della personalità al punto da dar luogo,
confluendo nel mare magnum della società, a comportamenti dannosi
per sé e per gli altri, sono innumerevoli.
In questa sede ci si limita a qualche cenno a quelle generalmente
meno prese in considerazione. Quindi, si sorvola sulle tensioni che
si generano tra genitori e figli, rilevando soltanto l’altrettanto
ben noto fenomeno, ossia che esse tendono a trovare sbocco per via
transferale su bersagli sostitutivi delle figure parentali. In proposito,
si sottolinea che la finalità principale del transfert è
quella di salvaguardare per quanto possibile i rapporti primari.
Al di là della nostra pia tendenza a considerare l’istituzione
familiare secondo una visione oleografica, luogo degli affetti e dell’intimità
comunicativa, in realtà in seno al modello familiare nucleare
si agitano, spesso sotto cenere, forti tensioni principalmente alimentate
da un’insopprimibile lotta per la sopravvivenza legate a grave
insufficienza dell’Io di uno o più componenti che non
riesce ad ottenere prestazioni complementari e sente drammaticamente
minacciata, appunto, la propria sopravvivenza..
Questo tipo di tensioni si genera di solito nella famiglia nucleare
giacché ciascuno si aspetta la soddisfazione dei propri bisogni
vitali da un’unica figura: la madre che perciò stesso
genera rivalità e contese.
Certe manifestazioni psicopatologiche non si osservano nelle famiglie
inserite in un contesto comunitario come pure nei kibutzim isdraeliani
come illustrato da Bethleim nei “Figli del sogno”,
mentre gli studiosi della dinamica familiare hanno da tempo rilevato
come la famiglia, isolata da un contesto comunitario, generi problemi
nevrotici e psicotici.
Quando anche l’Io della madre non abbia raggiunto una sufficiente
maturazione o, peggio, ambedue i genitori richiedono gratificazioni
da altri componenti del gruppo (si pensi al ben noto fenomeno dell’inversione
dei ruoli tra genitori e figli), allora la patogenicità della
famiglia può dar luogo a quadri psicotici, di solito di un
solo componente noto agli studiosi della dinamica familiare come “paziente
designato”.
Tra le più comuni frustrazioni agenti in senso frustrante,
quindi tensiogeno e anche patogeno, vi sono quelle riguardanti le
attese negli ambiti familiari, scolastici, di lavoro.
Per le prime, oltre quelle dei rapporti genitori figli già
accennate, basti pensare alle attese di disponibilità tra i
due partner coniugali.
Per es., lei si aspetta che lui prosegua a tempo indefinito quelle
attenzioni della fase del corteggiamento, ma queste provengono da
quell’area ancestrale del cervello che, pare, attivi una alla
volta ciascuna delle tante istanze in rapporto al momento vitale-relazionale
e, ottenuto lo scopo, quando subentra un’altra situazione esistenziale,
la precedente viene soppiantata in favore di un’altra istanza.
Per dare un’idea più chiara del modo di procedere da
parte del livello di organizzazione cerebrale denominato cervello
da rettile da MacLean (“Evoluzione del cervello e comportamento
umano" - con un saggio di Luciano Gallino, traduz. Di Fiamma
Bianchi Bandinelli – Giulio Einaudi ed., Torino, 1984), si pensi
alla donna che, durante il periodo in cui è attivato al massimo
il suo istinto materno, come nella fase dell’allattamento, di
solito si assopisce quello sessuale. Pare che qualcosa di analogo
avvenga per l’istanza di predominio nei confronti delle pulsioni
sessuali. Lo “sanno” maschi di tante specie che per far
sì che la femmina scelta per l’accoppiamento vada in
calore, le uccide i cuccioli
Ancora per quanto riguarda i rapporti di coppia, le attese di lui
contano spesso sulla convinzione che lei, come femmina, debba essere
dolce.
Ora il mito della dolcezza del gentil sesso viene messo in discussione
dalla constatazione di quel che avviene “in Natura”.
In effetti, la femmina sembra deputata da Madre Natura a svolgere
soprattutto il compito di selezione. Il che richiede anche spietatezza.
In base a dati come questi, si deve assumere che la partner possa
apparire “dolce”:
- quando viene attivato il suo istinto materno;
- durante la fase di seduzione del partner
- per educazione.
In quest’ultimo caso, le tensioni represse tendono a investirsi
sul piano psicosomatico o per via transferale.
Le tensioni che si generano in seno al nostro modello familiare, plasmato
a immagine e somiglianza di un assetto sociale a sua volta informato
sui valori di mercato e di potere, vengono tuttora ignorate o comunque
sottovalutate specialmente per quanto riguarda le loro ricadute sul
sociale.
Oltre alla ben nota tendenza del culto della facciata proprio della
famiglia tradizionale a celare le su menzionate tensioni, contribuisce
la tendenza a somatizzarle. Quindi, i relativi sintomi vengono considerati
di competenza medico-chirurgica e, una volta ignorata la loro natura,
non solo non si ottiene alcun effettivo cambiamento auspicato, ma
gioveranno al mercato della salute (cfr. di H, Pradal: "Il
mercato dell’angoscia", A. Mondadori Ed., Milano,
1977).
Per il tema di questo scritto interessa di più tenere presente
che, accanto al componente o ai componenti che “preferiscono
somatizzare”, anche per il gruppo familiare vale la dinamica
della distribuzione dei ruoli per cui ci sarà chi “sceglierà”
o più precisamente, si assumerà il compito di agire
comportamenti etero-aggressivi.
Alcuni termini adoperati da ormai affermati studiosi e operatori di
dinamica familiare, in particolare della prammatica della comunicazione
umana, possono dare un’idea di quel che, al di là della
generale consapevolezza, avviene in una famiglia modello occidentale.
Basti citare i termini di:
- pseudomutualità che sta a rivelare quel che si nasconde sotto
un’apparente clima di buoni rapporti, in realtà di reciproca
dipendenza e di risentimenti repressi;
- copione e conseguente distribuzione e assunzione di ruoli psicopatologici.
- paziente designato il quale assume su di sé e amplifica i
problemi della coppia genitoriale e che viene espresso con una dinamica
simile a quella del capro espiatorio.
Due temi meritano una trattazione a parte:
- la fase dell’opposizione e dei dispetti;
- alcuni metodi “educativi” tradizionali.
La
fase dell’opposizione e dei dispetti e conseguenze da maldestri
tentativi di annullarla sul nascere o di sopprimerla
Non
facile da gestire per chiunque, questo importante momento evolutivo
inizia con il secondo anno di vita e con i primi “no!”
La fase dell’opposizione e dei dispetti costituisce la nascita
dell’Io, è indice che l’Io “si sta facendo
i muscoli”, differenziandosi da quello dei genitori e di altri
adulti dai quali ancora dipende e, nel contempo, mediante questa specie
di allenamento, procede nella formazione del carattere.
L’atteggiamento perbenistico, che di solito si propone blandendo,
corrompendo o con minacce moralistiche e gli atteggiamenti superprotettivi,
sono micidiale per lo sviluppo dell’Io.
Esso può rimanere talmente fragile che in seguito potrà
crollare per la perdita di una persona cara (in effetti dalla quale
dipendeva per prestazioni complementari), a causa di morte, oppure
per separazione dei genitori,e anche per la nascita di un fratello,
di una sorella che costituisca la perdita delle prestazioni parentali
all’Io ancora funzionalmente in fase simbiotica. Un Io ancora
debole può risentire gravemente anche per l’abbandono
di un/una partner con cui aveva stabilito una specie di rapporto simbiotico
secondario.
Altrettanto pregiudizievole per un armonico sviluppo della personalità
sono i tentativi di controllare i relativi comportamenti oppositivi
con epiteti come quelli di cattivo, piccola peste, piccolo delinquente
e via di seguito.
Il piccolo, che sta subendo un regime di potere, è facilmente
alla ricerca di una posizione di rivalsa, perfino di avere il coltello
dalla parte del manico.
Epiteti del genere appena menzionato gli cadono a fagiolo, offrendogli
la possibilità di esercitare un contro-potere nei confronti
dei grandi più forti.
Sono i bambini che si divertono un mondo se un adulto gioca con loro
a farsi menare, mostrando di spaventarsi e, a Carnevale, scelgono
le maschere più terrificanti.
Tutto qui se esperienze di questo genere non incidono troppo traumaticamente
sulla personalità in evoluzione. Altrimenti, si può
imboccare un’evoluzione psicopatologica sino a quella del terrorismo:
la principale finalità dei terroristi non è quella di
spaventare i potenti, di richiamare l’attenzione su di sé
da parte degli amanti del quieto vivere come, probabilmente, erano
i suoi genitori che l’avevano trascurato?
Famiglia
guerrafondaia?
Lungi dall’intendimento di demonizzare l’istituzione familiare,
si tratta di verificare il suo funzionamento, vale a dire di scoprire
se l’attuale modello familiare standard risponda o no alle genuine
esigenze vitali, esistenziali, conviviali ed evolutive della persona.
In altre parole, parodiando una ben nota espressione evangelica, evidenziare
se la famiglia è fatta per la persona o, viceversa, per l’istituzione
familiare ad ogni costo.
La famiglia tradizionale, preoccupata di avere braccia per coltivare
le campagne e deputata dai governanti ad alimentare le forze armate,
reprimendo i risentimenti di rivalità fraterna quanto avrà,
in buona fede ovviamente, contribuito a quest’ultimo scopo?
In psicoanalisi si parla della guerra come un delitto edipico differito
in cui la generazione dei padri porta a morire la generazione dei
figli.
Fornari attribuisce alla guerra il compito della esportazione delle
tensioni. Una specie di processo psicodinamico tendente a procurare
dei nemici esterni, ossia bersagli sostitutivi per smaltire le sopraccennate
tensioni da rivalità represse dall’educazione in famiglia.
Oggi ci si sgomenta di fronte a episodi di violenza in famiglia. Si
tende a scotomizzare il dato di fatto che le tensioni intergenerazionali
sono sempre esistite; che fino ad alcuni decenni fa, esse venivano
controllate da espedienti intimidatori, comunque autoritari, più
facili da adottarsi in una società agricola.
Fatto sta che nel ’68 queste tensioni esplosero fuori casa,
sulle vie e sulle piazze delle principali città europee. Subito
dopo, è come se si fosse aderito a un patto perverso tra genitori
e figli: inconsapevolmente, è come se i figli avessero rinunciato
a crescere e i genitori si fossero assunti il compito di prolungare
le loro prestazioni parentali ai propri cuccioli: è il periodo
in cui prevale la generazione dei “figli che non se ne vogliono
andare”, dei Peter Pan.
Non solo in base agli sconvolgenti e raccapriccianti delitti in famiglia
di questi ultimi tempi, ma soprattutto per i diversi messaggi di approvazione
pervenuti da coetanei agli autori di tali delitti, viene da chiedersi
se questi fenomeni siano indice di una tendenza o comunque dei messaggi
S.O.S. connessi con un’inadeguatezza dei rapporti familiari.
Il futuro ci rivelerà se le attuali violenze in famiglia costituiscono
o no una punta di un più preoccupante iceberg.
In proposito, si rileva che la gestione per interposta persona o per
delega ha da sempre e in ogni luogo avuto fortuna specialmente dando
vita a manifestazioni teatrali e simili, letteratura dei “gialli”
e della cronaca nera compresa.
Anche
il desiderio può essere ammalato e patogeno dando luogo alla
compulsione a ripetere
E’ convinzione comune che l’Homo sapiens sia un essere
razionale, ma non sempre è cosi, anzi, spesso, egli si rivela
come un essere che tende a razionalizzare l’irrazionale che
finisce per avere buon gioco proprio per la sua condizione di clandestinità:
un nemico nascosto è molto più pericoloso di uno che
si può affrontare a viso aperto. La prova del nove può
essere quella che la psicoterapia ha successo quando riesce a liberare
da fantasmi perturbanti chi li ospita suo malgrado nei profondi meandri
della psiche.
Unitamente alla legge del taglione, la compulsione a ripetere è
tra i concetti freudiani che ci potrebbero fornire illuminanti chiavi
di lettura di fenomeni che, invece, si tende a mascherare mitizzandoli.
Ci si riferisce al desiderio coatto di ottenere qualcosa, per es.,
un evento, una situazione un figlio, una persona per partner, che
a un’analisi più approfondita risulta connessa con un’esperienza
infantile drammaticamente traumatica a suo tempo subita passivamente,
in condizioni di impotenza, che si tende a riproporre coattivamente
per affrontarla, finalmente attivamente in prima persona, con maggiori
capacità
Con buona pace dei sostenitori del libero arbitrio ad oltranza, convinti
che sia sufficiente essere anagraficamente adulti e intelligenti per
essere in grado di far prevalere la ragione sulle pulsioni irrazionali,
si deve constatare che la storia e la cronaca, in misura e incidenza
superiori a quel che si sarebbe portati a credere, sono ancora sotto
il dominio dell’irrazionale..
Fatto sta che le cosiddette sindromi fobico-ossessive non sono appannaggio
di uno sparuto gruppo di persone a sé stante. A parte il fatto
che anche per queste vi è tutta una gamma di quadri clinici
di vario grado per cui vi è un continuum tra fisiologia e patologia,
nella quotidianità di un incalcolabile numero di persone pulsioni
compulsive si possono manifestare sotto forma di desideri plausibili,
come quello di avere un figlio ad ogni costo, oppure sotto forma di
hobby, passioni varie, ma anche di atti eroici che, se messi in atto
in un contesto di guerra, sono stati e vengono tuttora esaltati in
molti contesti socio-culturali.
Per avere un’idea su come i tre livelli di organizzazione cerebrale
(MacLean) possano cooperare per contrabbandare quanto di peggio ci
sia “immagazzinato” nella psiche, si pensi al fatto che
la territorialità iscritta nelle strutture più ancestrali
del nostro cervello, mediante un processo di idealizzazione prestato
dalle parti più umanamente nobili dello stesso cervello, può
esprimersi come Amor patrio. Si rileva che tale istanza, come tante
altre dello stesso livello cerebrale, è in grado di scatenare
comportamenti estremamente violenti.
Del resto i cosiddetti grandi condottieri, quelli del tipo per il
quale il Manzoni chiese se fosse vera gloria, al lume delle attuali
conoscenze sul funzionamento del cervello umano, si scoprono dotati
di un eccezionale carisma o fiuto per giocare a proprio piacimento
con quelle istanze del cervello da rettile (MacLean) per
divenire leader di masse di uomini trasformati in pezzi di macchine
da guerra.
Giochi come questi non ce “l’hanno in tasca soltanto essi”
– per dirla con il poeta G. Giusti”- giacché, come
questi duci si servono della divisa militare e di una etichetta ideologica
che funga da specchietto per leallodole per legittimare le proprie
istanze psicopatologiche, altri motivati da analoghe pulsioni si sono
serviti e si servono addirittura di un saio e di una dottrina ispirati
a princìpi religiosi: si pensi, per esempio, ai domenicani
della Santa Inquisizione, ma anche ai liberatori del S. Sepolcro,
nonché a leader di altre religioni.
In proposito, si ribadisce il concetto che gli “inquinamenti
diatesici”, ossia bio-psico e socio-patogeni, risultano essere
di natura biologica congenita, biologica e psico-emotiva acquisite.
Queste ultime costituiscono le spine che muovono coattivamente la
psiche a riproporre antichi drammi incistati nel suo “magazzino”
per una specie di regolazione di vecchi conti, vale dire che scatenano
il processo della compulsione a ripetere.
In
definitiva, si deve constatare che l’assunto formulato sin dall’Introduzione
all’ecologia psico-sociale (Lando, 1976) e cioè che più
o meno tutti siamo organismi inquinati e in tensione sta alla base
delle manifestazioni violente, etero ed auto aggressive. I connessi
“inquinamenti diatesici” possono esasperare a tal punto
le istanze ancestrali del nostro cervello che abbiamo in comune con
gli animali superiori e quelle provenienti da esperienze traumatiche,
da dar luogo alle più assurde e cruente azioni violente che,
ormai, quasi quotidianamente ci sconvolgono.
Le peggiori pagine della storia dei popoli e anche della nostra quotidianità,
in fondo, risultano scritte dalle più “bestiali”
istanze del nostro cervello.
Gli atti violenti a ragione vengono considerati stupidi se si tiene
conto che questo livello di organizzazione cerebrale è ben
lontano dall’avere i lumi delle strutture filogeneticamente
più recenti del cervello umano. Se, però, si rimane
favorevolmente colpiti da titoli di pubblicazioni come quella di Charles
Fair: "Storia della stupidità militare”(
A: Mondadori Ed.), si tenga presente che c’è da distinguere
la funzione militare, accostabile a quella parentale tesa alla protezione
e difesa della prole e dei componenti il gruppo (branco ecc.) dediti
ad altri compiti, dalla degenerazione di tale funzione dovuta ai su
accennati inquinamenti (cfr. di P. L. Lando: "Funzione militare
e logica militarista", Riv: L’Intervista Medica, n.
1 Gennaio, 1987).
Come
prevenire primariamente, tempestivamente?
Poiché
in questo lavoro sono state prese in primaria considerazione le tensioni
che si originano nel modello familiare della nostra tradizione e non
ci si è soffermati su quelle legittime in risposta, per es.,
a ingiustizie o, sul piano internazionale, a tentativi di invasione
del territorio e conseguente assoggettamento della popolazione, anche
l’attenzione sulla prevenzione primaria verrà centrata
sulle prime fasi dello sviluppo delle singole personalità come
futuri cittadini.
Tuttavia, si rileva come, per quanto riguarda il controllo dei comportamenti
violenti sul versante socio-politico, una volta acquisita la consapevolezza
di quanto siano ardui e precari i modelli di governo autoritari fondati
su metodi militaristi sedicenti di destra o di sinistra, si è
andato affermando il cosiddetto modello democratico. Cosiddetto perché,
anche in base a quanto illustrato da Winicott, una vera democrazia
potrebbe attuarsi a condizione che la popolazione fosse composta di
persone responsabili, ossia che abbiano avuto sin dai primi tempi
di vita la possibilità di usufruire di condizioni e di fattori
di crescita in armonia con il proprio progetto persona. Così
come stanno le cose, l’espressione- etichetta “democrazia”
finisce per essere un eufemismo che copre i consueti interessi mercantili
e di potere. In ogni caso, un sistema democratico si trova a dover
gestire tensioni essenzialmente tribali, in cui si generano gruppi
con prevalenti connotazioni faziose. Inoltre, con la denominazione
di democrazia si finisce per adottare l’espediente di antica
romana memoria, cioè quello del “divide et impera”
che riesce a ovviare un po’ più facilmente l’afflusso
massiccio delle tensioni del “pueblo unido” contro chi
è assiso sul podio del potere centrale che “ingenuamente,
ha assunto ruoli parentali e, di conseguenza, di bersagli transferale.
La via reggia, dunque, verso una coesistenza effettivamente pacifica
coincide con la prevenzione delle tensioni che, in condizioni insoddisfacenti,
non favorenti la realizzazione del progetto persona, si generano e
sia pur represse, disturbano un armonico processo di socializzazione.
Quel che si potrà ottenere principalmente:
- da una famiglia che si fondi, molto meno su suggestioni di mercato,
più responsabilmente: verificando tempestivamente la salute
somatica (anche del patrimonio eredo-genetico), liberando la psiche
dai quasi immancabili problemi psico-emotivi dei due partner, ricorrendo
almeno a operatori di counseling appositamente e adeguatamente preparati
per verificare la propria attitudine a divenire genitori (lo si fa
per i genitori adottivi e perché no per gli aspiranti genitori
naturali, specialmente se affetti dalla sindrome di avere figli ad
ogni costo?);
- da una scuola che abbia operatori preparati anzitutto sul piano
psico-emotivo e relazionale e che, almeno all’inizio della frequenza
dell’obbligo, mediante attività ludiche, animate tra
gli allievi destinati a una medesima classe, da personale appositamente
preparato, verifichi la validità dei presupposti (“prerequisiti”),
in particolare, sensoriali, psicomotori, eventuali problemi psico-emotivi,
relazionali, culturali e, ancora, mediante attività ludiche
- che costituiscono, il tramite più congeniale per i soggetti
in età evolutiva - si aiutino gli stessi scolari in erba ad
avviare a soluzione le su accennate difficoltà;
- mediante l’utilizzazione di gruppi psicosociali, quali i T.
groups, i gruppi di discussione o gruppi problema, in particolare
i gruppi Gordon per gli insegnanti e quelli Balint per gli operatori
sanitari, per affrontare adeguatamente i problemi di rapporto professionali;
potrà darci speranze più consistenti, rispetto agli
espedienti sinora adoperati, per un avvenire migliore, per lo meno
di avvicinarci all’obiettivo della pacifica coesistenza.
Roma,
22 luglio 2001_____________________________Pier
Luigi Lando