GUERRA E PACE SECONDO “IL LIBRO DELLA NATURA”

E CHE COSA AVVIENE NELLA NOSTRA SPECIE “IN CULTURA”?


L’antico anelito di pace di buona parte degli esseri umani frustrato costantemente dagli avvenimenti storici, che sempre più si dimostra chimerico, dovrebbe indurci ad approfondire lo studio dei fattori e delle condizioni che ostacolano e che favoriscono lo sviluppo di una relazionalità armonica. In effetti, la questione della pace è in fondo riconducibile alla tematica della qualità dei rapporti interpersonali.
In proposito, può giovare riprendere la distinzione in tre modelli relazionali principali (Lando: “Introduzione all’ecologia psico-sociale - per una nuova scienza della personalità e dei rapporti” A. Armando, Roma 1976, ripresa recentemente dallo stesso autore in"Ecologia psico-sociale e salute", ed. Paracelso, Roma, 1999).
In base a quanto esposto in quelle sedi, l’auspicato modello “con l’altro” rimane un obiettivo razionalmente perseguito mentre noi rimaniamo tuttora ancorati a quelli del “senza l’altro” e del “contro l’altro”. In proposito si deve purtroppo constatare che perfino l’ottenimento del “con l’altro” finisce spesso per assumere la connotazione di alleanza finalizzata al “contro l’altro”.
A lungo raggio, nel corso dei secoli, si assiste a una specie di basculla tra storia e cronaca, nel senso che, quando si ottiene un periodo di pace a dimensione pubblica o internazionale, aumentano gli episodi di violenza privata e viceversa
Da quando le pagine di storia ci raccontano quel che avviene tra gli umani, si può constatare che cambiano i palcoscenici; ma, sia pure in forme diverse, rimangono e prevalgono immutati nella sostanza i fatti violenti, da quelli in ambito familiare a quelli tra i popoli. Da più d’uno è stato rilevato che il primo delitto riportato dalla tradizione è quello tra due fratelli che, oltre a perpetuarsi tutt’oggi con le violenze in famiglia, si manifestano sotto forma di contrapposizioni tribali più o meno cruente sul versante sociale su tutto il nostro pianeta.
Quando certi fenomeni, come quelli delle tensioni violente, che sia in senso sincronico sia in senso diacronico si presentano come costanti, non ci si può aspettare che esse possano risolversi mediante trattati di pace, appelli e iniziative diplomatiche
Per chiarire meglio la complessa questione in cui, nonostante le tante iniziative diplomatiche internazionali e i tanti autorevoli appelli, nonché i numerosi sacrifici eroici, ci troviamo impelagati da secoli, potrà tornare di qualche utilità seguire il criterio medico, comune del resto a quello dello stratega, vale a dire che, per combattere efficacemente un nemico, occorre anzitutto conoscere quanto più possibile su di lui e circa le sue strategie.
A questo punto, per sfatare una diffusa e pregiudiziale convinzione, si precisa che comprendere in chiave bio-psico-sociale un fenomeno non significa giustificare comportamenti eticamente riprovevoli, bensì avere elementi per formulare una diagnosi che, a sua volta, consentirà di intervenire sia in senso riparativo sia in senso preventivo.
E se “il nemico”, cioè l’insieme dei fattori guerrafondai o buona parte di essi, si celasse all’interno di ciascuno di noi”?
E’ l’ipotesi di lavoro che verrà privilegiata in questo scritto che, tra l’altro, si propone di sfatare i su accennati pregiudizi nei confronti del “comprendere” in chiave bio psico-sociale. In effetti, si opera in senso responsabilizzante, rendendo consapevoli e quindi ponendo in condizioni di liberarsi di quei “nemici interni” coloro i quali (più o meno tutti) li ospitano a loro insaputa che, con le loro subdole strategie, sono in grado di inficiare ogni buona intenzione e di far passare come tali pulsioni in vario modo e grado “inquinate”. Con ciò non si intende ignorare condizioni ambientali naturali e storiche che hanno senz’altro giocato ruoli perfino determinanti, ma queste, oltre a essere evidenti, sono state da sempre prese in considerazione già trattate con specifica competenza da altri autori. Certamente occorrerà tenere conto di molti altri fattori e condizioni che, sia pure per sommi capi, saranno affrontati analiticamente in questo scritto per sollecitare qualche spunto di riflessione soprattutto per andare oltre la consueta tendenza a considerare come causa prima delle tensioni tra i popoli soltanto i momenti storici, in particolare quelli economico-finanziari.
Questi quasi sempre si innestano su situazioni psicologiche formando un circolo vizioso. Emblematico è il caso delle tossicodipendenze. E il consumismo non conta su moventi psicologici? La pubblicità a che servirebbe se non riuscisse a influenzare psicologicamente specialmente per incentivare bisogni indotti “ad usum Delphini”?
Anche le interminabili lotte tribali tra due o più fazioni, sembrano configurarsi come circoli viziosi tra moventi personali e fatti storici. In ogni caso, cambiano le denominazioni, ma rimane nel corso dei secoli la formazione di gruppi contrapposti l’un contro l’altro armato. La constatazione che ogni autorevole appello, le altrettanto autorevoli mediazioni diplomatiche, gli embargo, i trattati di pace, istituzioni come quella delle Nazioni Unite ecc. non siano riusciti a por fine alle guerre etnico-tribali ci richiama alla mente quel che avviene “in natura”.
Per quanto riguarda le condizioni ambientali naturali, basti richiamare quanto rilevato da E. Fromm nell’"Anatomia della distruttività umana", vale a dire che popolazioni le quali vivono in aree ubertose, dotate di clima mite, immerse nel verde, si dimostrano di buon carattere e ben disposte verso gli altri, mentre l’opposto si verifica tra le popolazioni abitanti in condizioni avverse per clima, risorse alimentari, aridità del terreno. Queste conseguenze caratteriali costituirebbero le condizioni predisponenti o diatesiche per i successivi atteggiamenti e comportamenti.
Per quanto concerne le vicende storiche, viene da chiedersi se esse siano state primarie o secondarie a comportamenti mossi da istanze irrazionali e quindi da problemi di rapporto o, più precisamente, a complicanze disevolutive delle relazionalità.
Al fine di inquadrare in un contesto di ricerca più ampio questo lavoro e di approfondire la tematica della genesi, evoluzione e bio-psico-patogenesi della relazionalità umana, è opportuno consultare “il libro della natura” che per lo studioso delle tematiche eco-psico-sociali costituisce una specie di Bibbia.
In effetti, se si conviene sul principio che per fronteggiare adeguatamente ogni fenomeno problematico occorra anzitutto conoscere la sua natura, allora sapere come stiano le cose sul piano biologico si dimostrerà di fondamentale importanza.
Siccome la questione della pace e della guerra è essenzialmente una questione di rapporti inter-individuali e inter-gruppali, allora lo studio su come essi vengano gestiti nelle altre specie potrà risultare illuminante. Intanto si deve constatare che la lotta costituisce un appannaggio costante di ogni forma di vita.
Un altro stimolante spunto di riflessione può essere l’assunto che Madre Natura, già nota perché “non facit saltus”, contrariamente a noi acculturati secondo una logica razionalista, non ama le distinzioni categoriali, né di ordine estetico né di quello etico, quindi tra azioni buone e cattive, giuste e ingiuste, morali e immorali, né sembra privilegiare il bello rispetto al mostruoso, mentre mostra un’indomabile tendenza a esprimersi in tutta una gamma di manifestazioni a ogni livello.
Particolarmente inquietante appare quel che avviene a livello cellulare. Infatti, ciascuna cellula risulta programmata in modo da difendere la propria individualità al punto da essere in grado di attaccare, rigettando oppure fagocitando o distruggendo qualsiasi altra diversa. Una specie di razzismo a livello cellulare?
Ancora più stupefacente, una volta tanto in senso positivo, si dimostra quel che avviene a livello di insieme organismico: cellule molto diverse, che costituiscono organi altrettanto diversi fra di loro, finiscono per collaborare a vantaggio dell’economia vitale dell’individuo e della specie.
Non solo, ma sul baobab, cioè in luogo e condizioni che potrebbero risultare di elevato rischio per la sopravvivenza di tanti altri animali, non solo si osserva un rapporto di pacifica coesistenza tra animali appartenenti perfino a specie rivali e in rapporto da predatore a preda, ma nella foresta avviene che creature con analoghi rapporti si giovino di segnali d’allarme, lanciati da “sentinelle” che ora sarà una scimmia e in un altro momento sarà un uccello, perché tanti altri animali di diverse specie si mettano al riparo da un comune nemico.
Questo fintanto che qualche fattore perturbante non intralci il funzionamento e lo sviluppo dell’essere sin dai suoi primi momenti di vita.
Sarà possibile estrapolare quel che avviene in natura al piano storico?
Sussiste, per es., anche nella nostra specie una predisposizione eredo-genetica per ruoli di lotta come in altre filogeneticamente molto lontane dalla nostra, quali le api e le formiche?
Particolarmente interessante è il concetto di antagonismo armonico di Konrad Lorenz esemplificato nel parallelismo tra anziani conservatori e giovani tendenti al cambiamento nei confronti della società, da una parte e, dall’altra, l’azione plastica degli osteoblasti e quella demolitiva degli osteoclasti nei riguardi dello scheletro in fase evolutiva.
Fuori metafora, così come l’accrescimento dello scheletro diviene possibile grazie all’antagonismo armonico tra l’azione degli osteoblasti e degli osteoclasti, senza venir meno alla sua funzione di sostegno delle parti molli, in modo analogo dovrebbe procedere il cambiamento sociale in senso evolutivo grazie alla cooperazione dialettica della categoria conservatrice con quella “rivoluzionaria”. In Natura”, individui, gruppi, branchi provenienti da una diverso patrimonio eredo-genetico; ma anche soggetti dotati di estrema aggressività, mediante ben precisi rituali e apposite istanze istintuali, riescono a convivere e cooperare in funzione dell’economia dell’insieme.
Un altro spunto di riflessione, che potrà chiarire l’intricata questione del ricorso alla forza per fronteggiare i conflitti tra due o più comunità umane, può essere quello dei modi e della finalità per cui si lotta.
Ancora, “in Natura” sembra prevalere lo scopo della difesa della prole, dei componenti di rango inferiore del branco, la difesa di un territorio di vitale importanza per gli appartenenti allo stesso ceppo eredo-genetico, la lotta per la conquista di una partner essenziale anche questa per la sopravvivenza della specie.
Nella nostra specie, invece, sembrano prevalere motivazioni di potere prevaricante che spesso si manifestano come atti di violenza fine a se stessa.
A questo punto occorre tenere presente che se in origine saranno prevalse le pulsioni biologiche, in seguito i risentimenti e i desideri di vendetta hanno complicato il decorso storico delle stesse lotte (faide ecc.), chiudendo un ennesimo circolo vizioso.
Anche nella nostra specie il ricorso alla forza riconosce la finalità della difesa e da questo punto di vista si può ritenere che la donna sia la più adatta al servizio militare: si tenga presente che “in Natura” è spesso la femmina che è deputata a difendere la prole persino nei confronti del partner e dello stesso padre dei propri cuccioli.
In ogni caso quel che pone l’Homo sapiens in una condizione di paradossale svantaggio rispetto alle altre specie è che gli animali “sanno” non solo come allevare i propri cuccioli al meglio delle loro potenzialità, ma anche come gestire le tensioni intraspecifiche, mentre noi, che abbiamo un organo cerebrale di gran lunga più complesso, anzi proprio per questo, non avendo le “istruzioni per l’uso”, abbiamo dovuto procedere e ancora stiamo procedendo per tentativi ed errori.

Una specie di processo di selezione culturale ci ha fuorviato

In proposito la constatazione di quel che è avvenuto con l’evoluzione filogenetica del cervello può giovare all’intelligenza di alcune principali ragioni per cui, nonostante gli stupefacenti progressi di conoscenze accumulate, oggi ci troviamo impelagati in un groviglio di problemi e soprattutto perché, nei tentavi di risolverne uno, ci troviamo di fronte all’emergenza di tanti altri che spuntano come polloni dopo il taglio di un albero e hanno indotto più d’uno a sentenziare che “il progresso è regresso”.
Ci si riferisce al fatto che l’allontanamento del “livello di organizzazione cerebrale” (MacLean) pre-programmato da quello esecutivo, ossia della corteccia cerebrale, unitamente allo sviluppo delle strutture intermedie, in particolare di quelle deputate alla memorizzazione delle informazioni acquisite, ci può far comprendere perché proprio l’Homo sapiens si sia trovato nella paradossale condizione di non sapere il da farsi di fronte a tanti problemi della nostra quotidianità e che vanno da quelli di gestire i rapporti con la prole a molti altri quale recuperare la salute senza procurarsi altri malesseri.
Con il senno di poi, oggi possiamo riconoscere che, in mancanza di conoscenze contestuali innate, l’ottenimento dell’effetto immediato, procedendo per tentativi ed errori, è stato spesso un fattore fuorviante.
Questo, come appena accennato, è avvenuto con conseguenze piuttosto gravi in diversi settori della nostra operatività, da quello pedagogico a quello sanitario e socio-politico. Per esempio:
- per quel che concerne il rapporto educativo, si pensi al ricorso ad espedienti, quali l’agitare fantomatici personaggi che vanno dall’uomo nero al lupo e simili per controllare i comportamenti fastidiosi dei bambini:
- l’adozione di rimedi ritenuti validi soltanto in base all’effetto immediato sui sintomi ha portato a una vieta concezione allopatica che, per la carenza di conoscenze contestuali più ampie, dà spesso luogo a iatropatie anche gravi, nonché al ricorso facile a inconsulte automedicazioni e all’assunzione di sostanze nervine, da quelle casalinghe in quantità limitate generalmente non dannose a quelle stupefacenti. In ogni caso, per far fronte a malesseri da situazioni di disagio esistenziali e relazionali;
- l’uso di termini pregnanti di significati moralistici serve spesso allo scopo di controllare i comportamenti anche di persone adulte: si pensi ad espressioni come “fare le corna”, “tradire” (che, in chiave psicodinamica potrebbero rivelare ben altri significati), nonché a tutta la serie di epiteti affibbiati specialmente alle donne che, specialmente in passato, osavano prendere iniziative sessuali o le quali si mostravano “di facili costumi”.
Insomma, l’aver riconosciuto validi espedienti come quelli appena accennati, cioè di essere diffusi e tramandati culturalmente in base al solo criterio guida dell’effetto immediato desiderato su una manifestazione indesiderata e ritenuta come il vero unico problema ha spesso contribuito a farci sdraiare sugli allori, ad accontentarci e anche a rinunciare a una ricerca più “ecologica” per intervenire in modo più razionale su problemi di tutt’altra natura.

La simbolizzazione, “croce e delizia” dell’Homo sapiens

E’ una facoltà prettamente umana e tra quelle più nobili se si considera che, grazie ad essa, godiamo delle più stupende produzioni artistiche.
Il risvolto della medaglia consiste nel fatto che, tramite la stessa elaborazione psichica, subiamo i più subdoli inganni dal momento che, tramite questo processo, la psiche può presentarci tutt’altro al livello di consapevolezza.
Per comprendere bene questi fenomeni, occorre tenere presente che la simbolizzazione di un qualcosa - che avendo uno o più elementi in comune con qualcos’altro, la facilita - costituisce un momento preliminare per il transfert.
Per es., la madre, memorizzata primariamente come odore e sapore principalmente del latte, oltre a riproporre qualcosa che li ricordi associati, nel caso più comune ogni tipo di latte, indurrà l’Io a trasferire su di esso anche i risentimenti repressi nei confronti della madre. Si ha la demonizzazione della parte per il tutto che serve per trasferire su un bersaglio sostitutivo i risentimenti - nella fattispecie verso la madre - repressi.
Analogo iter demonizzante si può avere per i genitali esteso ad altri oggetti che avranno qualche elemento che li associ: topi, serpenti, oggetti cavi e via di seguito.
Dal momento che la madre, ma anche il padre, vengono vissuti come fonte di potere, di cibo e di ogni bene, un oggetto come il denaro, anch’esso fonte di potere e di cibo, affettivamente e simbolicamente, può prendere il posto dei genitori. Si hanno i casi in cui l’accumulo di denaro e di beni diviene l’ossessione della vita, il fine e non il mezzo per godersi la vita. Che, poi, il denaro, come il potere, costituisce motivo di contesa privata e storica è sotto gli occhi di tutti e sono innegabili ragioni oggettive, meno evidenti sono i significati simbolici.

Un cenno alle condizioni e ai fattori di crescita eco-bio-psico-sociale

Come altre nostre funzioni e facoltà, anche lo sviluppo di una relazionalità armonica è allo stato potenziale e, per realizzarsi al meglio, richiede ben precisi fattori e condizioni.
Il primo aggancio-anello della successiva rete relazionale si ottiene con il rapporto simbiotico (primario) con la persona che accudisce il bambino sin dai primi momenti di vita, di solito la madre che l’ha concepito e partorito. Data l’ampia letteratura esistente a riguardo, sarebbe superfluo insistere sulla sua fondamentale importanza. Basti rilevare che la piattaforma sulla quale si costruisce la personalità è la fiducia di base che, a sua volta, si fonda su due pilastri:
- la fiducia nella persona che, con costante dedizione, offre funzioni complementari all’Io “fisiologicamente insufficiente” del cucciolo d’uomo;
- la fiducia nelle proprie competenze a mano a mano che emergono, avendo la possibilità di “collaudarle” di persona.
I successivi legami, sostenuti dalla certezza di non perdere i vantaggi del rapporto primario e dall'attesa di ulteriori gratificazioni, costituiscono la via reggia su cui procede la relazionalità.
Di fondamentale importanza sono le gratificazioni di cui usufruisce il bambino durante un soddisfacente rapporto simbiotico con la madre. Esse, attivando tempestivamente il sistema endorfinico, creano i presupposti biochimici per il benessere somato-psichico della persona, governando l’eutrofismo somatico, il funzionamento dell’immunità, e il tono dell’umore. Insomma, preziose attività opposte a quelle degli ormoni da stress.
Particolare menzione merita il gioco come fattore di crescita, nel senso dello sviluppo e della realizzazione di buona parte delle potenzialità somatiche, psicomotorie, psico-emotive, intellettuali e psico-sociali secondo il proprio progetto-persona.
In proposito, non essendo questa la sede per sviluppare sufficientemente questo aspetto evolutivo, si deve almeno rilevare che il senso del ludico è una risultante di un’evoluzione armonica della personalità specialmente nella sua dimensione relazionale.
Per quanto concerne specificamente il tema di questo scritto, si richiama l’attenzione sulla funzione “metabolizzante” dell’aggressività offerta dalle attività ludiche. In effetti, giochi naturali, come quelli con la sabbia e con l’acqua, consentirebbero di costruire, distruggere e ricostruire senza i problemi che pongono i giocattoli strutturati secondo ben precisi modelli, in vero più apprezzati dagli adulti. Purtroppo, oggi, come per tante altre attività umane, anche le attività di gioco vengono incanalate secondo interessi di mercato: la stragrande maggioranza di bambini consuma giocattoli, ma non gioca secondo come madre Natura vorrebbe.

Conseguenze da carenze e traumi durante le prime fasi evolutive della relazionalità

Per comprendere come carenze e traumi, subiti specialmente durante la fase del rapporto simbiotico, possano pesare anche in modo determinante su uno sviluppo psicopatologico della personalità che interessa il tema di questo scritto, occorre tener presente che il legame complementare alle insufficienze fisiologiche delle competenze del piccolo corrisponde a un’esigenza fondamentale di tutti gli esseri viventi: essere comunque in grado di soddisfare le proprie esigenze vitali.
In altri termini, il cucciolo d’uomo può far fronte alla lotta per la sopravvivenza mediante la prestazione di funzioni complementari e, se il rapporto con la madre soddisfa questo tipo di esigenze, il bambino si sentirà di esistere e potente. Se, invece, questo senso di sicurezza viene scosso in grado sproporzionato rispetto alle sue capacità, ma non al punto da pregiudicare gravemente il successivo sviluppo della personalità, una delle conseguenze più comuni sarà una serie di atteggiamenti negativi nei confronti dei successivi approcci relazionali che andranno dalla diffidenza ad una più o meno esplicita ostilità, nonché a una smodata sete di potere. Peraltro è noto come Adler abbia attribuito a condizioni di menomazione, a sentimenti e complessi di inferiorità la volontà di potenza, attribuendo a una tale coatta ricerca il significato di sovracompensazione.
La gravità delle conseguenze è comunque in rapporto alle capacità funzionali dell’Io e dell’entità e durata delle esperienze negative.

Altri fattori e condizioni psicopatogeni

Dato per acquisito che ciascuno di noi, di fronte a condizioni di grave e permanente disagio, se non può reagire, in modo immediato e diretto, secondo le due modalità naturali della lotta o della fuga, previa rielaborazione intrapsichica, di solito, ha due possibilità, borderline o addirittura psicopatologiche, di reagire secondo la cosiddetta legge del taglione che vige nei profondi meandri della nostra psiche:
- etero-aggressivamente contro qualcun altro, ossia transferalmente;
- auto-aggressivamente, di solito somatizzando le relative tensioni psico-emotive;
- per delega, ossia per interposta persona, (cfr. pure dinamica del capro espiatorio, del paziente designato, delega ad attori teatrali ecc.).
Le eventualità di disagio incidenti in modo rilevante sullo sviluppo armonico della personalità al punto da dar luogo, confluendo nel mare magnum della società, a comportamenti dannosi per sé e per gli altri, sono innumerevoli.
In questa sede ci si limita a qualche cenno a quelle generalmente meno prese in considerazione. Quindi, si sorvola sulle tensioni che si generano tra genitori e figli, rilevando soltanto l’altrettanto ben noto fenomeno, ossia che esse tendono a trovare sbocco per via transferale su bersagli sostitutivi delle figure parentali. In proposito, si sottolinea che la finalità principale del transfert è quella di salvaguardare per quanto possibile i rapporti primari.
Al di là della nostra pia tendenza a considerare l’istituzione familiare secondo una visione oleografica, luogo degli affetti e dell’intimità comunicativa, in realtà in seno al modello familiare nucleare si agitano, spesso sotto cenere, forti tensioni principalmente alimentate da un’insopprimibile lotta per la sopravvivenza legate a grave insufficienza dell’Io di uno o più componenti che non riesce ad ottenere prestazioni complementari e sente drammaticamente minacciata, appunto, la propria sopravvivenza..
Questo tipo di tensioni si genera di solito nella famiglia nucleare giacché ciascuno si aspetta la soddisfazione dei propri bisogni vitali da un’unica figura: la madre che perciò stesso genera rivalità e contese.
Certe manifestazioni psicopatologiche non si osservano nelle famiglie inserite in un contesto comunitario come pure nei kibutzim isdraeliani come illustrato da Bethleim nei “Figli del sogno”, mentre gli studiosi della dinamica familiare hanno da tempo rilevato come la famiglia, isolata da un contesto comunitario, generi problemi nevrotici e psicotici.
Quando anche l’Io della madre non abbia raggiunto una sufficiente maturazione o, peggio, ambedue i genitori richiedono gratificazioni da altri componenti del gruppo (si pensi al ben noto fenomeno dell’inversione dei ruoli tra genitori e figli), allora la patogenicità della famiglia può dar luogo a quadri psicotici, di solito di un solo componente noto agli studiosi della dinamica familiare come “paziente designato”.
Tra le più comuni frustrazioni agenti in senso frustrante, quindi tensiogeno e anche patogeno, vi sono quelle riguardanti le attese negli ambiti familiari, scolastici, di lavoro.
Per le prime, oltre quelle dei rapporti genitori figli già accennate, basti pensare alle attese di disponibilità tra i due partner coniugali.
Per es., lei si aspetta che lui prosegua a tempo indefinito quelle attenzioni della fase del corteggiamento, ma queste provengono da quell’area ancestrale del cervello che, pare, attivi una alla volta ciascuna delle tante istanze in rapporto al momento vitale-relazionale e, ottenuto lo scopo, quando subentra un’altra situazione esistenziale, la precedente viene soppiantata in favore di un’altra istanza.
Per dare un’idea più chiara del modo di procedere da parte del livello di organizzazione cerebrale denominato cervello da rettile da MacLean (“Evoluzione del cervello e comportamento umano" - con un saggio di Luciano Gallino, traduz. Di Fiamma Bianchi Bandinelli – Giulio Einaudi ed., Torino, 1984), si pensi alla donna che, durante il periodo in cui è attivato al massimo il suo istinto materno, come nella fase dell’allattamento, di solito si assopisce quello sessuale. Pare che qualcosa di analogo avvenga per l’istanza di predominio nei confronti delle pulsioni sessuali. Lo “sanno” maschi di tante specie che per far sì che la femmina scelta per l’accoppiamento vada in calore, le uccide i cuccioli
Ancora per quanto riguarda i rapporti di coppia, le attese di lui contano spesso sulla convinzione che lei, come femmina, debba essere dolce.
Ora il mito della dolcezza del gentil sesso viene messo in discussione dalla constatazione di quel che avviene “in Natura”.
In effetti, la femmina sembra deputata da Madre Natura a svolgere soprattutto il compito di selezione. Il che richiede anche spietatezza.
In base a dati come questi, si deve assumere che la partner possa apparire “dolce”:
- quando viene attivato il suo istinto materno;
- durante la fase di seduzione del partner
- per educazione.
In quest’ultimo caso, le tensioni represse tendono a investirsi sul piano psicosomatico o per via transferale.
Le tensioni che si generano in seno al nostro modello familiare, plasmato a immagine e somiglianza di un assetto sociale a sua volta informato sui valori di mercato e di potere, vengono tuttora ignorate o comunque sottovalutate specialmente per quanto riguarda le loro ricadute sul sociale.
Oltre alla ben nota tendenza del culto della facciata proprio della famiglia tradizionale a celare le su menzionate tensioni, contribuisce la tendenza a somatizzarle. Quindi, i relativi sintomi vengono considerati di competenza medico-chirurgica e, una volta ignorata la loro natura, non solo non si ottiene alcun effettivo cambiamento auspicato, ma gioveranno al mercato della salute (cfr. di H, Pradal: "Il mercato dell’angoscia", A. Mondadori Ed., Milano, 1977).
Per il tema di questo scritto interessa di più tenere presente che, accanto al componente o ai componenti che “preferiscono somatizzare”, anche per il gruppo familiare vale la dinamica della distribuzione dei ruoli per cui ci sarà chi “sceglierà” o più precisamente, si assumerà il compito di agire comportamenti etero-aggressivi.
Alcuni termini adoperati da ormai affermati studiosi e operatori di dinamica familiare, in particolare della prammatica della comunicazione umana, possono dare un’idea di quel che, al di là della generale consapevolezza, avviene in una famiglia modello occidentale. Basti citare i termini di:
- pseudomutualità che sta a rivelare quel che si nasconde sotto un’apparente clima di buoni rapporti, in realtà di reciproca dipendenza e di risentimenti repressi;
- copione e conseguente distribuzione e assunzione di ruoli psicopatologici.
- paziente designato il quale assume su di sé e amplifica i problemi della coppia genitoriale e che viene espresso con una dinamica simile a quella del capro espiatorio.
Due temi meritano una trattazione a parte:
- la fase dell’opposizione e dei dispetti;
- alcuni metodi “educativi” tradizionali.

La fase dell’opposizione e dei dispetti e conseguenze da maldestri tentativi di annullarla sul nascere o di sopprimerla

Non facile da gestire per chiunque, questo importante momento evolutivo inizia con il secondo anno di vita e con i primi “no!”
La fase dell’opposizione e dei dispetti costituisce la nascita dell’Io, è indice che l’Io “si sta facendo i muscoli”, differenziandosi da quello dei genitori e di altri adulti dai quali ancora dipende e, nel contempo, mediante questa specie di allenamento, procede nella formazione del carattere.
L’atteggiamento perbenistico, che di solito si propone blandendo, corrompendo o con minacce moralistiche e gli atteggiamenti superprotettivi, sono micidiale per lo sviluppo dell’Io.
Esso può rimanere talmente fragile che in seguito potrà crollare per la perdita di una persona cara (in effetti dalla quale dipendeva per prestazioni complementari), a causa di morte, oppure per separazione dei genitori,e anche per la nascita di un fratello, di una sorella che costituisca la perdita delle prestazioni parentali all’Io ancora funzionalmente in fase simbiotica. Un Io ancora debole può risentire gravemente anche per l’abbandono di un/una partner con cui aveva stabilito una specie di rapporto simbiotico secondario.
Altrettanto pregiudizievole per un armonico sviluppo della personalità sono i tentativi di controllare i relativi comportamenti oppositivi con epiteti come quelli di cattivo, piccola peste, piccolo delinquente e via di seguito.
Il piccolo, che sta subendo un regime di potere, è facilmente alla ricerca di una posizione di rivalsa, perfino di avere il coltello dalla parte del manico.
Epiteti del genere appena menzionato gli cadono a fagiolo, offrendogli la possibilità di esercitare un contro-potere nei confronti dei grandi più forti.
Sono i bambini che si divertono un mondo se un adulto gioca con loro a farsi menare, mostrando di spaventarsi e, a Carnevale, scelgono le maschere più terrificanti.
Tutto qui se esperienze di questo genere non incidono troppo traumaticamente sulla personalità in evoluzione. Altrimenti, si può imboccare un’evoluzione psicopatologica sino a quella del terrorismo: la principale finalità dei terroristi non è quella di spaventare i potenti, di richiamare l’attenzione su di sé da parte degli amanti del quieto vivere come, probabilmente, erano i suoi genitori che l’avevano trascurato?

Famiglia guerrafondaia?

Lungi dall’intendimento di demonizzare l’istituzione familiare, si tratta di verificare il suo funzionamento, vale a dire di scoprire se l’attuale modello familiare standard risponda o no alle genuine esigenze vitali, esistenziali, conviviali ed evolutive della persona. In altre parole, parodiando una ben nota espressione evangelica, evidenziare se la famiglia è fatta per la persona o, viceversa, per l’istituzione familiare ad ogni costo.
La famiglia tradizionale, preoccupata di avere braccia per coltivare le campagne e deputata dai governanti ad alimentare le forze armate, reprimendo i risentimenti di rivalità fraterna quanto avrà, in buona fede ovviamente, contribuito a quest’ultimo scopo? In psicoanalisi si parla della guerra come un delitto edipico differito in cui la generazione dei padri porta a morire la generazione dei figli.
Fornari attribuisce alla guerra il compito della esportazione delle tensioni. Una specie di processo psicodinamico tendente a procurare dei nemici esterni, ossia bersagli sostitutivi per smaltire le sopraccennate tensioni da rivalità represse dall’educazione in famiglia.
Oggi ci si sgomenta di fronte a episodi di violenza in famiglia. Si tende a scotomizzare il dato di fatto che le tensioni intergenerazionali sono sempre esistite; che fino ad alcuni decenni fa, esse venivano controllate da espedienti intimidatori, comunque autoritari, più facili da adottarsi in una società agricola.
Fatto sta che nel ’68 queste tensioni esplosero fuori casa, sulle vie e sulle piazze delle principali città europee. Subito dopo, è come se si fosse aderito a un patto perverso tra genitori e figli: inconsapevolmente, è come se i figli avessero rinunciato a crescere e i genitori si fossero assunti il compito di prolungare le loro prestazioni parentali ai propri cuccioli: è il periodo in cui prevale la generazione dei “figli che non se ne vogliono andare”, dei Peter Pan.
Non solo in base agli sconvolgenti e raccapriccianti delitti in famiglia di questi ultimi tempi, ma soprattutto per i diversi messaggi di approvazione pervenuti da coetanei agli autori di tali delitti, viene da chiedersi se questi fenomeni siano indice di una tendenza o comunque dei messaggi S.O.S. connessi con un’inadeguatezza dei rapporti familiari.
Il futuro ci rivelerà se le attuali violenze in famiglia costituiscono o no una punta di un più preoccupante iceberg.
In proposito, si rileva che la gestione per interposta persona o per delega ha da sempre e in ogni luogo avuto fortuna specialmente dando vita a manifestazioni teatrali e simili, letteratura dei “gialli” e della cronaca nera compresa.

Anche il desiderio può essere ammalato e patogeno dando luogo alla compulsione a ripetere

E’ convinzione comune che l’Homo sapiens sia un essere razionale, ma non sempre è cosi, anzi, spesso, egli si rivela come un essere che tende a razionalizzare l’irrazionale che finisce per avere buon gioco proprio per la sua condizione di clandestinità: un nemico nascosto è molto più pericoloso di uno che si può affrontare a viso aperto. La prova del nove può essere quella che la psicoterapia ha successo quando riesce a liberare da fantasmi perturbanti chi li ospita suo malgrado nei profondi meandri della psiche.
Unitamente alla legge del taglione, la compulsione a ripetere è tra i concetti freudiani che ci potrebbero fornire illuminanti chiavi di lettura di fenomeni che, invece, si tende a mascherare mitizzandoli.
Ci si riferisce al desiderio coatto di ottenere qualcosa, per es., un evento, una situazione un figlio, una persona per partner, che a un’analisi più approfondita risulta connessa con un’esperienza infantile drammaticamente traumatica a suo tempo subita passivamente, in condizioni di impotenza, che si tende a riproporre coattivamente per affrontarla, finalmente attivamente in prima persona, con maggiori capacità
Con buona pace dei sostenitori del libero arbitrio ad oltranza, convinti che sia sufficiente essere anagraficamente adulti e intelligenti per essere in grado di far prevalere la ragione sulle pulsioni irrazionali, si deve constatare che la storia e la cronaca, in misura e incidenza superiori a quel che si sarebbe portati a credere, sono ancora sotto il dominio dell’irrazionale..
Fatto sta che le cosiddette sindromi fobico-ossessive non sono appannaggio di uno sparuto gruppo di persone a sé stante. A parte il fatto che anche per queste vi è tutta una gamma di quadri clinici di vario grado per cui vi è un continuum tra fisiologia e patologia, nella quotidianità di un incalcolabile numero di persone pulsioni compulsive si possono manifestare sotto forma di desideri plausibili, come quello di avere un figlio ad ogni costo, oppure sotto forma di hobby, passioni varie, ma anche di atti eroici che, se messi in atto in un contesto di guerra, sono stati e vengono tuttora esaltati in molti contesti socio-culturali.
Per avere un’idea su come i tre livelli di organizzazione cerebrale (MacLean) possano cooperare per contrabbandare quanto di peggio ci sia “immagazzinato” nella psiche, si pensi al fatto che la territorialità iscritta nelle strutture più ancestrali del nostro cervello, mediante un processo di idealizzazione prestato dalle parti più umanamente nobili dello stesso cervello, può esprimersi come Amor patrio. Si rileva che tale istanza, come tante altre dello stesso livello cerebrale, è in grado di scatenare comportamenti estremamente violenti.
Del resto i cosiddetti grandi condottieri, quelli del tipo per il quale il Manzoni chiese se fosse vera gloria, al lume delle attuali conoscenze sul funzionamento del cervello umano, si scoprono dotati di un eccezionale carisma o fiuto per giocare a proprio piacimento con quelle istanze del cervello da rettile (MacLean) per divenire leader di masse di uomini trasformati in pezzi di macchine da guerra.
Giochi come questi non ce “l’hanno in tasca soltanto essi” – per dirla con il poeta G. Giusti”- giacché, come questi duci si servono della divisa militare e di una etichetta ideologica che funga da specchietto per leallodole per legittimare le proprie istanze psicopatologiche, altri motivati da analoghe pulsioni si sono serviti e si servono addirittura di un saio e di una dottrina ispirati a princìpi religiosi: si pensi, per esempio, ai domenicani della Santa Inquisizione, ma anche ai liberatori del S. Sepolcro, nonché a leader di altre religioni.
In proposito, si ribadisce il concetto che gli “inquinamenti diatesici”, ossia bio-psico e socio-patogeni, risultano essere di natura biologica congenita, biologica e psico-emotiva acquisite. Queste ultime costituiscono le spine che muovono coattivamente la psiche a riproporre antichi drammi incistati nel suo “magazzino” per una specie di regolazione di vecchi conti, vale dire che scatenano il processo della compulsione a ripetere.

In definitiva, si deve constatare che l’assunto formulato sin dall’Introduzione all’ecologia psico-sociale (Lando, 1976) e cioè che più o meno tutti siamo organismi inquinati e in tensione sta alla base delle manifestazioni violente, etero ed auto aggressive. I connessi “inquinamenti diatesici” possono esasperare a tal punto le istanze ancestrali del nostro cervello che abbiamo in comune con gli animali superiori e quelle provenienti da esperienze traumatiche, da dar luogo alle più assurde e cruente azioni violente che, ormai, quasi quotidianamente ci sconvolgono.
Le peggiori pagine della storia dei popoli e anche della nostra quotidianità, in fondo, risultano scritte dalle più “bestiali” istanze del nostro cervello.
Gli atti violenti a ragione vengono considerati stupidi se si tiene conto che questo livello di organizzazione cerebrale è ben lontano dall’avere i lumi delle strutture filogeneticamente più recenti del cervello umano. Se, però, si rimane favorevolmente colpiti da titoli di pubblicazioni come quella di Charles Fair: "Storia della stupidità militare”( A: Mondadori Ed.), si tenga presente che c’è da distinguere la funzione militare, accostabile a quella parentale tesa alla protezione e difesa della prole e dei componenti il gruppo (branco ecc.) dediti ad altri compiti, dalla degenerazione di tale funzione dovuta ai su accennati inquinamenti (cfr. di P. L. Lando: "Funzione militare e logica militarista", Riv: L’Intervista Medica, n. 1 Gennaio, 1987).

Come prevenire primariamente, tempestivamente?

Poiché in questo lavoro sono state prese in primaria considerazione le tensioni che si originano nel modello familiare della nostra tradizione e non ci si è soffermati su quelle legittime in risposta, per es., a ingiustizie o, sul piano internazionale, a tentativi di invasione del territorio e conseguente assoggettamento della popolazione, anche l’attenzione sulla prevenzione primaria verrà centrata sulle prime fasi dello sviluppo delle singole personalità come futuri cittadini.
Tuttavia, si rileva come, per quanto riguarda il controllo dei comportamenti violenti sul versante socio-politico, una volta acquisita la consapevolezza di quanto siano ardui e precari i modelli di governo autoritari fondati su metodi militaristi sedicenti di destra o di sinistra, si è andato affermando il cosiddetto modello democratico. Cosiddetto perché, anche in base a quanto illustrato da Winicott, una vera democrazia potrebbe attuarsi a condizione che la popolazione fosse composta di persone responsabili, ossia che abbiano avuto sin dai primi tempi di vita la possibilità di usufruire di condizioni e di fattori di crescita in armonia con il proprio progetto persona. Così come stanno le cose, l’espressione- etichetta “democrazia” finisce per essere un eufemismo che copre i consueti interessi mercantili e di potere. In ogni caso, un sistema democratico si trova a dover gestire tensioni essenzialmente tribali, in cui si generano gruppi con prevalenti connotazioni faziose. Inoltre, con la denominazione di democrazia si finisce per adottare l’espediente di antica romana memoria, cioè quello del “divide et impera” che riesce a ovviare un po’ più facilmente l’afflusso massiccio delle tensioni del “pueblo unido” contro chi è assiso sul podio del potere centrale che “ingenuamente, ha assunto ruoli parentali e, di conseguenza, di bersagli transferale.
La via reggia, dunque, verso una coesistenza effettivamente pacifica coincide con la prevenzione delle tensioni che, in condizioni insoddisfacenti, non favorenti la realizzazione del progetto persona, si generano e sia pur represse, disturbano un armonico processo di socializzazione.
Quel che si potrà ottenere principalmente:
- da una famiglia che si fondi, molto meno su suggestioni di mercato, più responsabilmente: verificando tempestivamente la salute somatica (anche del patrimonio eredo-genetico), liberando la psiche dai quasi immancabili problemi psico-emotivi dei due partner, ricorrendo almeno a operatori di counseling appositamente e adeguatamente preparati per verificare la propria attitudine a divenire genitori (lo si fa per i genitori adottivi e perché no per gli aspiranti genitori naturali, specialmente se affetti dalla sindrome di avere figli ad ogni costo?);
- da una scuola che abbia operatori preparati anzitutto sul piano psico-emotivo e relazionale e che, almeno all’inizio della frequenza dell’obbligo, mediante attività ludiche, animate tra gli allievi destinati a una medesima classe, da personale appositamente preparato, verifichi la validità dei presupposti (“prerequisiti”), in particolare, sensoriali, psicomotori, eventuali problemi psico-emotivi, relazionali, culturali e, ancora, mediante attività ludiche - che costituiscono, il tramite più congeniale per i soggetti in età evolutiva - si aiutino gli stessi scolari in erba ad avviare a soluzione le su accennate difficoltà;
- mediante l’utilizzazione di gruppi psicosociali, quali i T. groups, i gruppi di discussione o gruppi problema, in particolare i gruppi Gordon per gli insegnanti e quelli Balint per gli operatori sanitari, per affrontare adeguatamente i problemi di rapporto professionali;
potrà darci speranze più consistenti, rispetto agli espedienti sinora adoperati, per un avvenire migliore, per lo meno di avvicinarci all’obiettivo della pacifica coesistenza.

Roma, 22 luglio 2001_____________________________Pier Luigi Lando