GUERRE ETNICHE E BESTIALITA'
(ma le bestie sanno come...)

Avrei potuto parafrasare il titolo di un recente libro di Giovanni Bollea (“Le Madri non sbagliano mai”, per darne uno a questo articolo altrettanto provocatorio, del tipo: “Gli animali non sbagliano mai”. Tuttavia, qualunque sia l'appeal del titolo, lo scopo principale del presente scritto è quello di centrare l'attenzione del lettore su un concetto di fondamentale importanza: ogni essere umano ha la possibilità di vivere in modo armonico con gli altri e con l'ecosistema soltanto se è in sintonia con la Natura.
Generalmente, sia che si tratti dei conflitti tra arabi ed ebrei o tra sedicenti cattolici e protestanti irlandesi o, ancora, tra quelle fazioni ex iugoslave che proprio in questi giorni stanno polarizzando la preoccupata attenzione dei paesi non soltanto europei, generalmente, dicevo, l'opinione più diffusa è quella di ricondurre esclusivamente l'origine di ogni conflitto bellico a fattori di ordine storico, politico, religioso, comunque a sollecitazioni di carattere razionale.
Ma la componente razionale corrisponde allo stadio maggiormente sviluppato del cervello umano (in termini scientifici, essa appartiene al più avanzato, filogeneticamente più evoluto livello di organizzazione cerebrale).
Il cervello, tuttavia, non è soltanto corteccia, materia grigia.
Esso, infatti, comprende due ulteriori livelli di organizzazione cerebrale: uno, intermedio - anche in relazione ai tempi dell'evoluzione filogenetica - sviluppatosi nei mammiferi e l'altro, filogeneticamente più antico e primordiale, simile a quello posseduto dai grandi rettili (tanto che nel linguaggio tecnico si è soliti indicarlo come cervello da rettile).
Questi livelli cerebrali, pur essendo intimamente interconnessi, hanno una peculiare, relativa autonomia, nel senso che ciascuno di essi ha un proprio modo di recepire ed elaborare gli stimoli, reagendo a questi come se si trattasse di un cervello a sé stante dotato di un proprio codice di comunicazione incomprensibile agli altri due.
Il rettiliano, infatti, recepisce ed elabora messaggi (chimici. ormonali, nervosi) che provengono dall'organismo e si esprime mediante il linguaggio del corpo; il cervello intermedio, invece, ha a che fare, con le emozioni e con la memoria, mentre quello corticale recepisce il linguaggio verbale convenzionale e si esprime, appunto, con le parole.
E' inoltre da rilevare che il rettiliano è incapace di qualsiasi elaborazione razionale; tuttavia, mentre negli animali l'incapacità di "ragionamento" si traduce in una assoluta, intrinseca, automatica spietatezza, nella specie umana - essendosi sviluppate alcune connessioni tra tale livello primordiale e quelli superiori più evoluti - è possibile riscontrare una peculiare capacità di provare compassione o altri sentimenti positivi che limitano l'istintualità pura, caratterizzando l'essere umano in quanto tale. Può peraltro accadere, analogamente a quanto avviene per le altre strutture dell'organismo, che queste connessioni siano scarsamente sviluppate oppure, funzionalmente, sopraffatte e messe fuori gioco da soverchianti cariche emotivo-agggressive, da risentimenti e da altre evenienze accidentali. In tali casi si riespande nella sua originale l'istinto onnicomprensivo e irragionevole del rettiliano. Si spiega così l'efferatezza di tanti misfatti umani e si giustifica pienamente quell'affermazione iniziale per cui non tutti i moventi dei conflitti bellici hanno una matrice razionale.
Per un'adeguata chiave di lettura delle guerre etniche, potrebbe essere sufficiente tenere presente che il cosiddetto cervello rettiliano funziona sulla base di informazioni eredogenetiche (geni cromosomici). Esso, infatti, oltre a regolare alcune delle funzioni vitali dell'individuo (temperatura corporea, livelli di sali nel sangue ecc.) per cui è da tempo conosciuto come cervello viscerale, governa modelli di comportamento quali, nel caso in specie, la conquista e il possesso di un territorio, che, nella forma mentis umana, diviene sacrosanto dovere di lottare per il bene e la difesa della Patria.
Ora, per affrontare più direttamente la questione della ferocia e della permanenza dei conflitti etnici, può essere utile osservare attentamente il comportamento degli animali. Esso dimostra come ogni insieme eredogenetico tenda a prevalere su tutti gli altri; esiste, cioè, una forte tendenza che ogni incontro con un ceppo eredogenetico diverso si trasformi in uno scontro più o meno violento, sino allo sterminio dell'antagonista. Una volta attivata la sequenza dei modelli rettiliani di lotta, è quasi impossibile disattivarla.
Qualcosa di analogo si verifica anche nella specie umana: quando il cervello da rettile prende il sopravvento, gli altri due rimangono soggiogati e la loro funzione è soltanto quella di dotare il primo dei mezzi necessari per il perseguimento dello scopo prefissato. Il cervello immaginante-creativo, ad esempio, dovrà fornire le coperture ideali (amor patrio, salvaguardia della razza etc.) a quelli che non possono se non definirsi massacri sconvolgenti che solo l'abile attivazione dell'istinto della territorialità da parte di un eroe-condottiero riesce, a suo modo, a sublimare e nobilitare. L'uomo sente fortemente l'esigenza di placare la propria coscienza, dandosi motivi valoriali ideali per i propri misfatti.
A questo punto mi sembra il caso di precisare che una sostanziale differenza complichi il modo di funzionare del cervello umano rispetto a quello degli animali: mentre in questi tutto avviene in funzione di un'armonica economia vitale, nell'Homo Sapiens - per ragioni che in questa sede sarebbe troppo lungo spiegare - tale funzionamento risulta fortemente disturbato e condizionato da fattori socio-culturali, cosicché, istanze primordiali, quali la leadership, che negli animali è finalizzata al benessere del gruppo, nell'uomo tende al domino prevaricatore.
E allora, non mi pare azzardato affermare che l'uomo avrebbe tanto da imparare dagli animali. Già, le bestie tanto deprecate ci insegnano che qualora la disattivazione dell'aggressività offra vantaggi reciproci, diventa possibile, tramite espedienti vari trovare il modo per convivere in pacifica coesistenza (persino tra specie rivali).
Il principio della pacifica coesistenza e, addirittura, di collaborazione e di reciproche prestazioni avviene perlopiù tra individui appartenenti allo stesso ceppo eredogenetico.
Qualcosa di più sorprendente si verifica tra specie diverse il cui habitat è la foresta: uno o più individui fungono da sentinella e, se si avvicina un comune nemico comune, lanciano segnali d'allarme per tutti.
Ancora più positivamente strabiliante è quanto avviene sul cosiddetto albero della vita, il baobab, in luoghi dove non vi sarebbe altra possibilità di sopravvivenza se non quella di addivenire a un reciproco, tacito (?) patto di pacifica coesistenza, anche tra specie che normalmente sono in rapporto di predatori e prede .

E, allora, piuttosto che continuare a coprire con alibi mistificanti istanze ancestrali e micidiali del nostro cervello da rettile - in vario modo inquinato e disturbato nelle sue armoniche funzioni - non sarebbe meglio per tutti chiamare ogni cosa con il proprio nome, cercando di riconoscere il subdolo zampino del rettiliano in tante azioni umane che si tende, invece, a contrabbandare come eroiche, animate da nobili ideali e risplendenti del fulgore sacro della Patria?
Tale ribaltamento culturale presupporrebbe un atteggiamento di umiltà che ci consentirebbe di imparare da chi, per natura, è più armonicamente informato, circa le fondamentali esigenze vitali e di convivenza: gli animali, appunto.
Certo questo non vuol dire che dovremmo regredire filogeneticamente, copiando passo passo il comportamento delle bestie.
Ogni esempio va preso sempre cum grano salis!

Concetti da esplicitare meglio o da integrare

1) Continuità - mutatis mutandis - del fenomeno (lotta per l'affermazione o/e il predominio del proprio patrimonio _genetico) dagli esseri viventi più elementari sino alla nostra specie;
2) costante incidenza storica del fenomeno stesso;
3) le istanze (modelli comportamentali) più ancestrali - quelle del cervello da rettile - hanno tutti i vantaggi della _clandestinità, cioè di agire subdolamente, sottobanco;
4) è umanamente comprensibile la tendenza a (il pio desiderio di) pretendere soluzioni immediate; ma, nel caso _delle cosiddette guerre etniche, dobbiamo tenere conto che abbiamo a che fare con secoli di mistificanti _razionalizzazioni e idealizzazioni della guerra, in genere (v. istanza rettiliana della territorialità che, nella nostra _cultura, diviene sacrosanto dovere di lottare, ad ogni costo, per il bene della Patria);
5) sfrondare gli allori e mostrare di che lacrime grondano e di che sangue queste guerre, il mettere allo scoperto la _natura o, meglio, la degenerazione delle su menzionate istanze potranno dare l'abbrivo a un desiderabile _cambiamento?
6) Molti dei nostri problemi hanno le loro radici più remote nel modo secondo cui viene concepito ogni essere _umano, vale a dire nelle motivazioni e il fatto che spesso si contrabbanda. sia pure in buona fede, per Amore il _desiderio drogastico di avere un figlio può costituire la più pesante ipoteca per il suo avvenire e per quello della _società ( v., in proposito, quanto insegnano gli animali che non prolificano se non sussistono le condizioni adatte _per i loro cuccioli).

Esperienza personale: negli ospedali statunitensi si lavora con colleghi e persone provenienti da diversi paesi. Ho ricavato l'impressione che, la sensazione (direi la consapevole premunizione nei confronti) delle inevitabili, sottostanti difficoltà giovi molto di più delle attese ottimistiche (pretese), come quelle che si danno per scontate, per esempio, in seno a una coppia coniugale.

Roma, 26.7 1995
Pier Luigi Lando