IL MODELLO DEMOCRAZIA DAL PUNTO DI VISTA ECO-PSICO-SOCIALE
COSI’
COME STANNO LE COSE, RISCHIA DI ESSERE UN EUFEMISMO
Com’è
generalmente noto, il termine democrazia deriva dal greco e significa
potere del popolo. In effetti questo modello risale all’antica
Grecia e si contrappone a quello di monarchia assoluta. Per comprendere
meglio i motivi per i quali questi due tipi di governo si sono storicamente
affermati in modo prevalente, può essere utile consultare prima
il cosiddetto libro della natura e, quindi, quello della nostra storia.
Prima di procedere nell’esposizione dei singoli punti, si rileva
che un fenomeno appare particolarmente significativo allorché
assume le connotazioni di una costante sia in natura che nella storia
“In
Natura”
Dall’osservazione
etologica risulta che alla base di tutte le lotte vi sia la tendenza
alla selezione naturale per cui ogni vivente, sia considerato individualmente
sia in gruppo, tende ad eliminare chi proviene da un diverso ceppo
genomico.
Secondo quanto risulta dallo studio comparato del cervello delle varie
specie, l’assunzione e la gestione della leadership
è regolata da ben precisi modelli comportamentali di base che
sono ereditariamente iscritti nella sua parte filogeneticamente più
antica.
In base ad essi, un animale assume il comando del branco dopo aver
dimostrato le sue capacità di svolgere ruoli che vanno da quelli
della difesa dei membri sino a quello di guida per la ricerca del
posto più adatto e del cibo per la sopravvivenza.
Le lotte per acquisire una posizione gerarchica in seno al gruppo
di appartenenza raramente sono cruente nelle altre specie; per lo
più, esse sono ritualizzate. Insomma, dal libro della natura
dobbiamo constatare che mentre gli animali “sanno” come
gestire al meglio le tensioni intraspecifiche, l’Homo Sapiens
sapiens, da sempre, rincorre invano condizioni di pacifica convivenza.
“La
Storia come “Magistra Vitae”
In questa sede
ci interessa soprattutto appurare quale problematica il modello democratico
tenda a gestire. Storicamente risulta che spesso si è pervenuti
alla formula democratica per la gestione della cosa pubblica dopo
aver sperimentato gli effetti negativi della formula dittatoriale
monarchica. A far sentire maggiormente gli effetti negativi di tale
forma di governo è stata spesso la tendenza al dispotismo,
cioè l’imposizione di norme di comportamento ai cittadini
da parte di un capo assurto al posto di comando con la forza o grazie
al diritto di successione dinastica.
L’attenuazione del potere del monarca mediante il ricorso alla
costituzione che regola e limita anche i suoi poteri affidando il
potere esecutivo a un leader eletto dal popolo, in alcuni paesi ha
consentito la sopravvivenza del modello monarchico.
Come sopra accennato, l’Homo Sapiens sapiens non riesce
a gestire le tensioni interindividuali e intergruppali. Nonostante
gli apparenti progressi, tuttora i popoli più civilizzati rimangono
ancorati alle lotte tribali: si pensi alle ostinate rappresaglie tra
arabi ed ebrei, a nazioni come la nostra, la Spagna, l’Irlanda
e a tante altre che, mentre vantano antichi ed elevati gradi di civiltà,
presentano ancora il fenomeno della persistenza di violente guerriglie
etniche o, comunque, di formazioni di inconciliabili schieramenti
l’un contro l’altro armati. Ma perché, nonostante
le numerose iniziative di pace e le buone intenzioni della stragrande
maggioranza per una pacifica coesistenza, nella nostra specie le cose
non vanno o vanno all’opposto delle aspettative?
Alcuni
elementi dipendenti dall’evoluzione filogenetica
Se il “libro
della natura” ci informa correttamente che ciascun essere è
dotato di modelli comportamentali di base utili per l’individuo
e per la specie e che nelle altre specie (se non vi sono interferenze
da parte dell’uomo) le cose vanno in armonia con le loro esigenze
vitali, allora sembra che una delle ragioni fondamentali per cui le
cose si complicano è che, man mano che si procede nell’evoluzione
filogenetica, la componente apprendimento conta sempre di più.
Per spiegarci questo fenomeno, basta tener conto che tra il livello
di organizzazione cerebrale (la corteccia), che possiamo chiamare
“esecutivo”, in quanto deputato a eseguire i comportamenti
risultanti dall’interazione tra informazioni innate e quelle
acquisite, e il livello eredogeneticamente pre-programmato, si sviluppa
sempre di più una struttura intermedia, propria dei mammiferi
che oltre ad elaborare le emozioni, ha una crescente capacità
di memorizzare le informazioni acquisite.
Siccome nell’uomo queste strutture e relative funzioni raggiungono
il massimo grado di evoluzione, egli si trova ad avere oltre ad incommensurabili
vantaggi, dei paradossali svantaggi rispetto alle altre specie poiché
“la voce” delle informazioni innate diviene più
lontana e subisce le interferenze di quelle acquisite.
Mentre gli animali “sanno” come gestire le tensioni intraspecifiche
e cosa fare per allevare i figli al meglio delle potenzialità
consentite dalla propria specie (in quanto per loro sono sufficienti
le integrazioni che si acquisiscono dai genitori), l’uomo si
è trovato nella condizione di dover procedere a tentoni, attraverso
prove ed errori, subendo l’inganno dell’effetto immediato.
Per ogni problema l’uomo è ricorso ad espedienti autoritari,
intimidatori, punitivi e anche ricattatori, come ad esempio quello
di tenere a bada la vivacità e anche i “comportamenti
oppositivi e dispettosi“ dei bambini che rivelano non solo che
l’Io si stia irrobustendo e differenziando da quello delle persone
da cui dipende, ma anche che attraverso gli stessi comportamenti esso
riesce a nascere e crescere psicologicamente. E’ ovvio che gli
individui che vengono allevati con tali metodi non saranno dei cittadini
disponibili a convivere con metodi democratici, intesi nella migliore
accezione.
Le attuali conoscenze sulla forte tendenza alla formazione di gruppi
“tribalmente” contrapposti (società - collettività)
possono apportare un contributo fondamentale su alcuni motivi di tensione
sociale più volte illustrati dalla ricerca eco-psico-sociale:
esse ci rivelano, anzitutto, che sussiste una matrice problematica
composita. In linea di massima si possono distinguere due ordini di
fattori che complicano i rapporti sociali: innati e acquisiti.
Alcuni
“inquinamenti diatesici” biologici innati
La ricerca eco-psico-sociale
ha portato a formulare l’assunto che più o meno siamo
tutti organismi inquinati e in tensione
In proposito, indipendentemente dalla questione se sia efficace o
no sul piano terapeutico, una fondamentale teoria della medicina omeopatica
può dare un’idea del perché ogni organismo, in
diversi momenti della vita, reagisca in senso “ipo”, “iper”
o “dis”. Essa attribuisce l’alterazione della reattività
vitale di ogni persona nei confronti di agenti nocivi e di condizioni
stressanti, come pure le tendenze caratteriali, a tre generi di sostanze
patogene (“inquinamenti diatesici”) che predispongono
l’organismo a reagire secondo le su accennate modalità,
sia sul piano biologico che su quello psicoemotivo e sociale.
Alcuni fattori sociali (acquisiti)
Agli elementi bio-ereditari appena accennati che possono alterare
la reattività di ciascuno di noi, si aggiungono fattori acquisiti
con esperienze, messaggi, informazioni che hanno traumatizzato la
psiche sin dai primi tempi di vita. Per la legge del taglione che
vige nella nostra psiche, quando l’organismo non è disposto
a riversarle contro se stesso si tende a trovare bersagli esterni
contro cui procedere per rivendicare una specie di regolazione di
vecchi conti contro “oggetti transferali”. Di solito si
tratta di persone che in qualche modo sono o appaiono emotivamente
assimilabili alle figure primarie “responsabili” dei nostri
risentimenti.
Qualche
ipotesi psicodinamica per una più realistica chiave di lettura
Se in base a conoscenze
psicodinamiche si riconosce un parallelismo tra le reazioni dei figli
nei confronti dei genitori, rivalità fraterne, dei cittadini
nei riguardi dei propri rappresentanti politici, in particolare dei
governanti e di componenti di altri schieramenti politici;
se si accetta la visione psicodinamica dei rapporti tra governati
e governanti (quando non vi siano motivi oggettivi di un effettivo
tradimento del mandato elettorale);
viene da presumere che molte componenti irrazionali, cioè sentimenti
di frustrazione per attese magico-onnipotenti di cui spesso non si
è consapevoli, inquinino anche questo genere di rapporti.
In effetti, nei casi in cui non vi siano colpe oggettive di particolare
gravità da parte di amministratori della cosa pubblica, le
su accennate reazioni inducono a riconoscerle analoghe a quelle dei
figli nei confronti dei genitori. In ambedue i casi vi sarebbe l’attribuzione
- più o meno consapevole - di onnipotenza alle figure dalle
quali si dipende e le connesse attese magico-onnipotenti, rispettivamente,
da parte dei figli e dei cittadini.
Qualche
altra considerazione sulle ragioni della popolarità della formula
democratica
Una costante nella
storia umana è rappresentata dalla tendenza a “prendersela
con qualcuno”, vale a dire a individuare un responsabile dei
propri guai o della mancata soddisfazione dei propri bisogni e delle
proprie speranzose attese.
L’antropologia culturale, per esempio, ci informa che, spesso,
le tribù cosiddette primitive attribuiscono agli spiriti malefici
di altre tribù la causa delle proprie disgrazie e di eventi
nefasti occorsi in seno alla propria tribù.
Lo studio storico e psico-sociologico di tutti i popoli ci dimostra
che la presenza di un nemico esterno induce e rafforza la coesione
all’interno di una collettività.
Ancora la Storia ci offre numerosi esempi di uccisione del proprio
leader.
Ben note sono pure le reazioni di delusione nei confronti degli eletti
da parte degli elettori.
Così
come stanno le cose, l’espediente del “divide et impera”
si presenta come inevitabile
Dal momento che
una popolazione, composta da individui inquinati e in tensione, tenderebbe
spesso a “prendersela”, anche in modo violento, con il
proprio leader, alias capro espiatorio, l’espediente che storicamente
si è dimostrato più efficace e conveniente è
quello del modello democratico in senso partitocratico.
I delitti storici contro capi di Stato da parte di componenti la stessa
collettività, i malumori, l’aggressività contro
i propri governanti da parte degli stessi elettori, lo stesso detto
umoristico: “piove, governo ladro!”, appaiono come una
costante altrettanto significativa e indicativa di dinamiche psicosociali
con forti componenti emotive e, a volte, del tutto irrazionali.
In base a considerazioni come quelle appena accennate, il modello
democratico, che sottintende la formula del “divide et impera”,
consisterebbe in un espediente necessario per avere consistenti garanzie
di governabilità, in alternativa ai modelli totalitari e dittatoriali
che si sono storicamente dimostrati precari oltre che nefasti. La
formula democratica, sempre in senso partitocratico, consente di lottare
contro gli avversari in modo incruento.
In psicodinamica si parla anche di “nemico interno” per
indicare un insieme di istanze auto ed etero lesionistiche che albergano
nel profondo della nostra psiche. Alcuni eminenti studiosi delle connesse
cariche aggressive interne che tendono a sfociare nel sociale, hanno
già considerato la guerra come un modo di esportarle fuori
dei confini patri (Franco Fornari). L’analogia con le lotte
inter-tribali è evidente.
Se si riconosce anche che l’anarchia è un’utopia
nel senso comune del termine (finora non s’è trovato
di meglio, o di meno peggio, della formula del “divide et impera”,
cioè un’irraggiungibile chimera), e che non esiste comunità
di viventi senza un organo di governo, è perché questo
non si ritrovi impossibilitato ad operare sin dall’inizio, ostacolato
dai suoi stessi elementi da governare.
Una
simpatica storiella chiarirà il concetto del “divide
et impera”
Per rendere meglio
l’idea della massima latina del “Divide et impera”,
gioverà riportare un aneddoto che sa di barzelletta.
Si racconta che un parroco di campagna si trovò in critico
imbarazzo perché i lavoratori di laterizi e i contadini, che
rappresentavano buona parte dei suoi parrocchiani, gli chiedevano
di pregare gli uni per avere giornate di sole e gli altri di pioggia,
minacciando di non andare più in chiesa se tali eventi meteorologici
non fossero andati secondo le loro aspettative.
Seguì il consiglio del suo vescovo, radunando nella canonica
una rappresentanza delle rispettive parti e promettendo che quando
si fossero messi d’accordo, egli avrebbe pregato Domineddio
per la pioggia o per il sole. E’ facile immaginare come andò
a finire: il parroco si salvò per il rotto della cuffia, dal
momento che le due parti non riuscirono a mettersi d’accordo.
La sua connessione con la formula democratica di governo apparirà
più evidente se si riconosce che la dinamica della formazione
e del prevedibile destino di un leader risultino analoghi a quelli
del capro espiatorio. In tal modo è possibile, almeno per un
certo tempo, tenere a bada e distribuire l’aggressività
intraspecifica, in modo che l’organo governante abbia sufficiente
tempo e spazio di manovra per provvedere alle esigenze della collettività.
La nostra psiche, inquinata e in tensione, esaspera la naturale tendenza
alla conflittualità sopra accennata e, analogamente all’organismo
fisico, tende a liberarsi dalle tensioni e dalle scorie che le risultano
nocive; ma, a tale scopo, ha bisogno di bersagli (transferali) contro
cui proiettarle: da qui la ricerca di uno o più nemici esterni.
Rilevo in proposito che in un mio precedente scritto avanzai l’ipotesi
che il diavolo sia una specie di personaggio ecologico per la nostra
psicoemotività in quanto svolge impunemente, per chi se la
prende con lui, una tale psico-pedagogica funzione di bersaglio.
Può essere significativo il disorientamento generale che colpì
il mondo alla caduta del muro di Berlino giacché non si sapeva
più con chi prendersela.
Per inciso, ricordo che l’alternativa sarebbe quella delle somatizzazioni,
vale a dire trasformare le tensioni della nostra psiche in sintomi
di apparente competenza medico-chirurgica.
La
logica di potere non viene meno nell’attuale predominante formula
“demo-partitocratica”.
La funzione dei dissidenti
Per avere ancora
un’idea più approfondita di come fenomeni problematici
come quello del potere siano radicati sempre nell’accezione
negativa, basti pensare alla fine che di solito fanno i dissidenti;
per lo più essi finiscono per fungere da valvole di scarico
delle tensioni collettive e, in particolare, da “riciclatori”
di parti più o meno cospicue della popolazione.
In pratica, una volta guadagnata la fiducia dei componenti, avviene
che il leader espresso da queste parti dà luogo a una specie
di “detenzione d’attesa”, vale a dire che i componenti
la parte dei contestatori, avendo delegato un “avvocato”
della loro causa, noto come il più motivato, devolvono le proprie
energie nel sostenere chi è ritenuto in grado di operare efficacemente
per la vittoria.
“Il tempo è maestro delle cose” recita un vecchio
proverbio e spegne i bollenti spiriti, anche per motivi di età
e, a volte, di status sociale (lavoro, ecc.). In realtà, il
fuoco non si spegne, rimane sotto la cenere e, poiché nel frattempo
nulla è sostanzialmente cambiato nella matrice problematica
individuale e sociale di cui si è detto sopra, uno o più
leader di nuovi movimenti dissidenti riaccendono altri animi.
La storia ci dimostra che anche quando un movimento “rivoluzionario”
riesca a rovesciare gli attuali tenutari del potere, sia che instaurino
un assetto “democratico” sia che impongano un regime esplicitamente
autoritario, magari legittimandolo con orpelli militari e mascherandolo
con una formula tipo socialdemocrazia, socialismo ecc., il cambiamento
e gli obbiettivi promessi e perseguiti non saranno realizzati. Essi
provocano maggiore sofferenza in chi non si fa troppe illusioni sul
buon fine e ama la libertà, mentre riaccendono gli animi dei
forti per la riconquista della libertà. Non è andata
sempre così la nostra storia?
Buon
viso a cattivo gioco?
Il
modello democratico risulta essere, con tutte le sue pecche, una specie
di “presa per i fondelli” verso la quale ci conviene far
buon viso a cattivo gioco giacché con Churchill dobbiamo convenire
che non c’è stato di peggio.
Rebus sic stantibus (stando così le cose) cioè rimanendo
immutata la matrice problematica della maggior parte dei componenti
la nostra collettività umana, in particolare la condizione
di organismi inquinati e in tensione, quindi l’esigenza di avere
nemici esterni e le motivazioni psicopatologiche di strapotere dei
leader, c’è da presumere che, nonostante i vari speranzosi
tentativi palingenetici, questo iter disastroso non avrà gli
esiti promessi nei programmi politici finché non si prenderanno
sul serio le indicazioni e le relative metodiche. Ciò è
necessario per avviare a soluzione i comuni problemi di tutti noi
e far tesoro delle conoscenze sulle condizioni ed i fattori di crescita
eco-psico-sociali (v. P. L. Lando: Ecologia psico-sociale e salute,
Edizioni Paracelso).
E’ doveroso rilevare che, tra i più autorevoli studiosi
che hanno sostenuto la connessione tra sviluppo della personalità
e cittadino democraticamente maturo, vi è il pediatra psicoanalista
D. W. Winnicott nel suo libro: Sviluppo affettivo e ambiente, Armando
Armando Editore, Roma, 1974.
Roma, 5 dicembre 2000________________ Pier
Luigi Lando