QUESTIONE
DEMOGRAFICA
Mentre
la cronaca quotidiana (più o meno nera) ci riporta sempre più
sconcertanti episodi di maltrattamento di bambini all’interno
della famiglia, nella scuola e in ogni dove, per non dire delle condizioni
di disagio che essi sperimentano ormai quasi normalmente - per mancanza
di opportunità di gioco, per le condizioni di vita (si fa per
dire) in ambienti che né gli architettetti né gli urbanisti
hanno previsto per i bambini - da più parti si fa riferimento
al calo demografico come problema di primo piano.
E si continua a considerare la nascita di esseri umani, di futuri
cittadini in rapporto a criteri economico-finanziari.
Si continua a ignorare la componente umana del problema demografico
a tal punto che possiamo leggere su un quotidiano di destra l’aberrante
rilievo che: “servirebbe un tasso di natalità del 2.1
per donna, siamo solo all’1.2”. L’autore si consola
constatando che anche la sinistra, ricredendosi, riconosca come problema
il “baby sboom”(questa espressione è adoperata
da un altro giornalista sullo stesso numero), giacché “
la denatalità non porta come conseguenza solo la deflazione
in termini di consumi e di guadagni, ma anche di impoverimento più
profondo delle società soggette a questo flagello che coinvolge
il patrimonio”.
Più in generale, si ritiene che per invogliare le coppie a
produrre figli occorra sostenere economicamente la famiglia.
A parte l’auspicabilità che quasi nessuno dei nostri
sia così citrullo da ritenere che con un sostegno di qualche
milione, e per un certo numero d’anni (mi pare che in genere
si parli dei primi tre anni) si risolva o si ridimensioni in modo
consistente il problema dell’allevamento di un figlio in più,
rimango sbalordito nel leggere o sentire le argomentazioni che si
ritengono valide a favore dell’incremento delle nascite.
TRA L’ALTRO SI GIOCA SULL’EQUIVOCO DELL’”UNA
TANTUM” CHE, MI RISULTA ESSERE INTESO DA MOLTI, ANCHE LAUREATI,
NON COME UNA VOLTA SOLA, MA COME UN CONTRIBUTO OGNI TANTO!!!
Non pretendo che i demografi si mostrino in grado di tenere conto
di quelle esigenze psicologiche ( che dico? delle esigenze di cuccioli
di esseri umani) che stanno alla base di una soddisfacente evoluzione
della personalità: tra l’altro, che i soggetti in età
evolutiva possano avere spazi e opportunità, almeno per qualche
momento della giornata, non dico di scatenarsi, di fare chiasso -
cosa impensabile in buona parte dei nostri appartamenti, ormai urbanizzati
anche in periferia e in provincia - ), ma di giocare senza avere l’assillo
dei familiari preoccupati di non disturbare i vicini o altri familiari
indisposti o che per vari motivi non possono tollerare le più
naturali attività di gioco indispensabili per la crescita del
corpo e di quasi tutte le altre dimensioni della persona.
Eppure Platone aveva avvertito i suoi contemporanei (e perché
no?, anche i nostri) che il bambino che non gioca è l’adulto
che non sarà in grado di lavorare. Egli, insomma, aveva riconosciuto
il gioco come importante fattore di crescita.
Si potrà sperare che, al più presto, in nome dei nostri
figli, dei nipoti, delle future generazioni, finalmente non si pensi
di risolvere problemi fondamentali per la nostra specie, per la nostra
società, mediante soluzioni tampone, e che si desista dal lenire
serie sofferenze esistenziali e relazionali con pezze calde e si sia
in grado di guardare al di là del proprio naso, adoperandosi
in ogni modo per avvicinare le condizioni di vita alle più
genuine esigenze della persona?
Come si può ritenere di invogliare le coppie a mettere al mondo
una propria creatura, adducendo loro motivi così cinicamente
lontani da considerazioni umane?
Tra l’altro,.in base a ben specifiche ricerche sul campo, autorevoli
addetti ai lavori ci hanno da tempo avvertito che la famiglia nucleare,
isolata da un contesto comunitario, sia pure con le migliori intenzioni
di questo mondo, e in perfetta buona fede, genera nei figli vari problemi,
specialmente di ordine psicosomatico, rischiando, quindi, di introdursi
in un tunnel dove, non raramente, per tutta la vita, faranno carriera
di malati, nonché di persone con problemi che producono sofferenze
per sé e per gli altri..
Mentre mi propongo di tornare con altre considerazioni sul modello
di famiglia, soprattutto per apportare un contributo per la ricerca
di un contesto affettivo-relazionale più adatto alle nuove
generazioni, mi limito, per ora, a un cenno al problema di un corrispettivo
adeguamento della scuola, specialmente di quella primaria.
Mi domando - quasi adeguandomi al tipo di considerazioni utilitaristiche
dianzi criticate - a chi giova mettere al mondo bambini destinati
a venire allevati in condizioni psico e socio patogene?
Capisco che, anche nel caso in cui essi finiranno come clienti delle
varie istituzioni, da quelle sanitarie a quelle giuridiche (sorvolo
su altri tipi di utenze, come quelle illegittime e illegali), saranno
preziosi a fini economico-finanziari, ma è per motivi di questo
genere (ribadisco il concetto e il mio assillante dubbio) che i nostri
connazionali potranno essere invogliati a divenire genitori?
Pier Luigi Lando____________________Roma,
27 luglio, 1997