PERSONALITÀ, SOCIETÀ E VIOLENZA
(Tensione psichica, tensione sociale e carcere)

Nell'affrontare un argomento scottante e attuale come quello della violenza (violenza del delitto e violenza della legge), occorre essere consapevoli, anzitutto di inoltrarsi in un campo, non solo minato da pregiudizi. ma anche cosparso di trabocchetti. quali quelli della tendenza a schierarsi da una parie o dall'altra, perdendo così di vista l'insieme delle componenti del fenomeno, che si vuole studiare.
Per quanto riguarda i pregiudizi, in effetti, nel corso dei secoli si e venuta radicando la convinzione che « il positivo » (tutto ciò che è ritenuto giusto, buono, eco.) stia da una parte e “il negativo » (il cattivo, l'ingiusto) stia nettamente distinto dall'altra parte, anche quando si tratta di fenomeni così interdipendenti, dinamici e proteiformi, quali sono quelli psico- sociali. cioè quelli emergenti dall'interazione tra i componenti una collettività umana.
La tendenza tuttora dominante appare, purtroppo, quella del giudizio, che categorizza e stigmatizza una persona, come se questa fosse qualcosa di statico, definito e univoco (nel senso di assenza di istanze conflittuali, per cui vi sono degli individui buoni ed altri che sono stati, sono e saranno sempre cattivi. Per inciso si può soltanto accennare che questa tendenza è generalmente in rapporto con la nostra esigenza di sicurezza: gli animali posseggono degli » espedienti » naturali, con l'aiuto dei quali riescono a sapere con chi hanno a che fare (si pensi, ad es., al fiuto).
Capita sovente che ci si trova a scontrarsi contro barriere difensive ed anche offensive, quando si cerca di aprire discorsi di questo genere, per approfondire un'analisi multidimensionale dei problemi e dei fenomeni connessi con i tradizionali schieramenti, che vedono da una parte coloro i quali, ufficialmente, hanno le carte in regola ed hanno il diritto di essere protetti da leggi e istituzioni sociali e, dall'altra, gli altri etichettati come «diversi», «devianti”, «delinquenti», ecc.
Da un altro punto di vista, considerato moderno e rivoluzionario, la situazione si capovolge, per cui i primi, « i perbenisti », sono ritenuti oppressori e violenti, mentre i secondi appaiono come le vittime.
In tal modo non si esce dalla logica delle categorie opposte e di tutto ciò che alimenta la spirale della tensione; inoltre, finche il discorso procede sulle sabbie mobili delle idee poco chiare; (per carenza di conoscenze e per coinvolgimenti emotivi) o della tendenza verso soluzioni sbrigative (che si basano su misure esemplarmente punitive, repressive e che non tengono conto di specifiche conoscenze umane e sociali), chi si pone come intermediario in questi discorsi, che purtroppo, sono animati da lesi e antitesi, deve aver preso coscienza che nessuno dei componenti uno stesso contesto socio-culturale è in condizioni da « scagliare la prima pietra », nel senso che in qualche modo è implicato nella dinamica di questi fenomeni e, perciò, emotivamente coinvolto '.
Quest'ultima affermazione richiede subito una precisazione, perché di solito viene intesa in senso fatalistico, cioè come un invito alla rassegnazione nei confronti di una natura umana fondamentalmente maligna e, quindi, ad un destino definitivamente tragico.

Abbiamo oggi sufficienti conoscenze, invece, per affermare che, di fronte a ogni fenomeno, specialmente a quelli legati ai rapporti interpersonali, noi ci troviamo di fronte a dei circuiti chiusi da una confluenza di fattori e condizioni particolari, ivi comprese le diversità delle psicologie, dei caratteri degli individui componenti una collettività.
La scarsa conoscenza dei fattori e delle condizioni che agiscono in senso positivo o in senso negativo sulla formazione della personalità dei singoli componenti una società ha fatto sinora segnare il passo, non solo ai discorsi sui fenomeni disturbanti il quieto vivere, ma anche alle istituzioni, specialmente al carcere che di tutte le tensioni è la sintesi più drammatica, una volta che la nostra attenzione rimane fissata sulle persone, « che violano le norme vigenti » e non sa spostarsi su ciò che influisce sulle connesse dinamiche, non vi sono sufficienti possibilità di cambiamento e dì evoluzione ne a livello mentalità ne a livello operativo (giuridico, istituzionale, ecc.).
Altrettanto ardua si dimostra l'impresa di illuminare i legami esistenti tra ciò che influisce sulla psiche dei singoli individui, e le dinamiche psico-sociali: infatti, in genere, non si tiene conto che la stragrande maggioranza degli uomini, specialmente nei primi anni di vita, si trova esposta ed è molto duttile all'azione plasmante di fattori culturali che, essenzialmente, sono molto simili; non solo, ma si dimentica facilmente che i fenomeni socio-politici rappresentano la risultante della confluenza di componenti individuali.
L'incitazione a «comprendere», però, a lume di conoscenze scientifiche, viene spesso malintesa e confusa con il pietismo, con la compassione, con una presunta missione psicologica a giustificare tutto o, addirittura, con un'ingenua tendenza a simpatizzare con i violenti,

È per questo che, ritenendo necessaria e utile un'esposizione sistematica, più che possibile libera da pressioni emotive e, grazie alla collaborazione anche da parte di alcuni amici facenti parte dell'Associazione " Carcere e Comunità », sono riuscito a portare a termine un primo lavoro, consistente in un libro, che è in corso di stampa.
Convinto che ogni fenomeno, ivi comprese le manifestazioni comportamentali disturbanti, è la risultante di una confluenza di fattori, ho cercato di rilevare, fra l'altro, il ruolo di un certo tipo di «educazione», che sarebbe più esatto chiamare «condizionamento». appunto perché, interferendo con l'espressività genuina dell'uomo, lo determina anche in quelle manifestazioni che rendono la vita spiacevole per il singolo e per la comunità.
In questo capitolo mi propongo di accennare a qualche punto (già trattato in un contesto più ampio e più integrato nella predetta pubblicazione) per sottolineare ancora l'importanza di alcuni aspetti di fenomeni e problemi, che ci riguardano più da vicino in questa sede. Tra tali aspetti vi sono da considerare le esperienze precoci, cioè quei fattori e quelle condizioni ambientali agenti, persino durante la vita ultra- uterina, sulla formazione della nostra personalità; infatti, ogni impressione, che raggiunge il nostro cervello, capace di memorizzare, cioè di registrare e di “ricordare » ogni stimolo, anche molto prima della nascita, potrà influenzare, inconsapevolmente, l'attività psichica e, quindi, il comportamento umano per tutta la vita.
Quel ricordare è stato posto tra virgolette appunto perché non tutte le impressioni raggiungono il livello della consapevolezza, ma esse rimangono lo stesso attive e possono riemergere. in vario modo. interferendo con le nostre azioni e reazioni ogniqualvolta un'esperienza o una componente psichica le richiama, per essere in qualche modo con essa collegata o collegabile.

Formazione della personalità

Tutti sanno che per una sana crescita del nostro corpo sono indispensabili alcune condizioni (temperatura, umidità, ecc,) e certi fattori (acqua, minerali, proteine, grassi, glicidi, vitamine. ecc.). ma ancora non è altrettanto diffusa la conoscenza di corrispondenti condizioni e fattori, che sono analogamente necessari per consentire, promuovere o catalizzare la crescita, lo sviluppo. la maturazione psico- sociale dell'uomo.
Nei primi anni di vita le nostre potenzialità costituzionali, quelle energetiche in particolare, trovano modi più o meno soddisfacenti per esprimersi in attività spirituali, artistiche. psico-intellettuali, psico- emotive, sociali. sessuali, muscolari. ecc.; ma su questo punto dovremo tornare quanto prima per comprendere meglio certi problemi dei detenuti.
D'altro canto, come vi sono condizioni e fattori agenti in senso patologico sull'organismo fisico, esistono condizioni e fattori che ostacolano o determinano sviluppi disarmonici e disturbanti della persona e, specialmente, delle sue espressioni sociali.
A questo proposito mi sembra opportuno precisare che, se per le conseguenze morbose dell’organismo sono necessarie conoscenze medico-cliniche, per “ prendere cura » dei problemi psicologici e sociali, non basta essere preparati sul piano teorico e tecnico,ma occorre anzitutto una particolare e opportuna “formazione " della personalità degli operatori, siano essi genitori, pedagoghi o psicoterapeuti, o siano specialmente giudici e direttori di carceri che trattano il tumultuoso materiale umano.

Preparazione degli operatori sociali e penitenziari

Purtroppo è opinione diffusa che “si sappia”, ad esempio, “fare i genitori” non appena lo si è divenuti…”naturalmente” o fare i direttori di carcere non appena si vince il concorso. Questo automatismo è vero per gli animali e, fra essi, solo per quelli che vivono allo stato brado, perché le cose si complicano, in modo analogo agli uomini della nostra società, quando vengono allevati in cattività
Così si ritiene che per esercitare adeguatamente la funzione di operatori sociali, basti seguire i relativi corsi di studio per conseguire il diploma: non si tiene conto affatto delle motivazioni che hanno determinato la scelta vocazionale e, tanto meno, delle ben comuni dinamiche nevrotiche, che del resto sono presenti in ogni personalità “allevata” nel nostro tipo di cultura; tuttavia gli operatori sociali, essendo più vicini alle personalità in età evolutiva, rappresentano i vettori principali del “sistema nevrotico”, che tradizionalmente ci è stato tramandato e che così continua in una reazione a catena.
Quanti si sono occupati sinora della “formazione” delle nuove generazioni hanno finito per conformarsi alle aspettative sociali dominanti anziché formarsi al “difficile compito” di rispondere adeguatamente e consapevolmente alle esigenze di una persona durante le fasi più attive e, quindi, più critiche dello sviluppo organismico, psichico, sociale, penale.
Alcuni credono che basti sapere di psicologia o di legge, ma abbiamo già detto che la preparazione teorica e tecnica non basta: le modalità del rapporto interpersonale si apprendono vivendole in pratica, coinvolgendosi nell'altro.
Ciò è d'importanza fondamentale, perché il tipo di rapporto appreso difficilmente verrà rimpiazzato: le varie metodiche psico-terapeutiche attualmente disponibili, psicoanalisi compresa, solo parzialmente possono aiutare a risolvere problemi come quelli della tendenza e dei bisogni di stabilire rapporti da superiore a inferiore.
A questo punto, a parte il fatto dei vantaggi che offrirebbe la possibilità di educare verso l'auto-realizzazione del “curare”, dobbiamo affrontare il discorso riguardante i ruoli e quelli professionali in particolare: infatti, parlando del diverso-sociale da un punto di vista professionale, si è tentati di utilizzare, non solo termini, ma anche criteri medici e, perdendo di vista il punto che si tratta di analogie, si finisce per voler applicare mezzi e strumenti del settore clinico- patologico (addirittura farmaci) ai problemi originati da rapporti interpersonali inadeguati dei primi anni di vita e che successivamente si ripercuotono sui nuovi rapporti interpersonali, riproducendosi ed emergendo anche come conturbanti.
Le conseguenze più deleterie, però, si hanno quando si adotta il punto di vista e il criterio medico clinico, specialmente di ordine diagnostico, al così detti devianti », « antisociali » o « delinquenti » o « carcerali »; infatti, mentre da un punto di vista clinico il malato è un evento individuale, nell'ambito dei problemi psico-sociali, i fenomeni sono determinali dal tipo di interazione con altre persone emotivamente ed affettivamente significative.
Intanto noi siamo abituati a giudicare forse perché spinti da un bisogno urgente di materializzare e individuare comunque una fonte di pericolo da cui ci sentiamo minacciati; però, per inciso, dato che la motivazione è ciecamente sostenuta dalla speranza illusoria di uscire da un opprimente stato di angoscia, il beneficio, se c'è, è solo momentaneo e soggettivo. Pertanto giudichiamo in modo diverso una stessa azione, a seconda del contesto e della finalità per la quale è stata compiuta: se il motivo è chiaramente quello della legittima difesa, se lo stesso delitto viene perpetrato in un'azione di guerra oppure da un personaggio piuttosto che da un altro, la reazione nostra va dalla tolleranza o dalla condanna più spietata sino alla lode e all'aureola di eroe; ma ancora più legato a condizioni di mancanza di conoscenze della natura e della dinamica dei fenomeni psico-sociali è il diverso modo di considerare atteggiamenti e azioni contro la vita o gli interessi dei nostri simili, a seconda dello status e del ruolo delle persone che secondo i criteri correnti stanno dalla parte degli «aventi diritto » a possedere e accumulare a svantaggio di altri, non solo, ma anche ad agire con «sadismo», in vario modo mascherato e motivato, contro altri che non hanno- per status e per ruolo, la possibilità dì procurarsi in modo protetto quanto desiderano o gli è necessario per sopravvivere.

Questo modo di considerare il problema non esce ancora del tutto dal tradizionale moralismo perbenistico e potrà risultare pregiudizievole e deleterio ai fini della comprensione dell'intera dinamica del problema.
Infatti, ai fini della ricerca della via che ci conduce verso la soluzione del problema, non ci aiuta per niente, anzi ci porta fuori strada il modo di procedere sul piano delle accuse e della sostituzione di un capro espiatorio al posto di un altro o di valutare e giudicare in modo diverso la "criminalità nera » e la « criminalità bianca»; occorre, invece, abbandonare questo tipo di mentalità per giungere a quel capovolgimento di essa indicata dal termine greco « metànoia», per trovare la persona umana a lume di conoscenze che ci consentano di andare al dì la dei pregiudizi, delle categorie, del bisogno di avere dei nemici o dei capri espiatori contro cui lottare; in altri termini ci occorre conoscere i motivi, consapevoli o inconsapevoli, per i quali il nostro simile si comporta in modo da danneggiare il proprio simile; perché si può accentuare in modo mostruoso il senso del possesso sino a divenire insaziabile avidità; oppure perché gli istinti di difesa o di offesa finiscono per esprimersi con aggressività distruttiva, cioè con la violenza palese “fine a se stessa” o in vario modo mascherata e razionalizzata (perbenismo, legalismo farisaico, burocratico, moralistico, pedagogico, sado-masochismo presente nei rapporti regolati da ruoli, ecc.). Qui scoppia il sistema della «nostra» giustizia e delle « nostre » carceri.

Nei limiti di questo capitolo non possiamo affrontare l'analisi psicologica e sociale per rilevare quanto è alla base degli atteggiamenti e dei comportamenti che spingono uomo contro uomo, all' homo homini lupus. Possiamo soltanto sottolineare ancora una volta l'opportunità di spostare la nostra attenzione dal giudizio sugli individui allo studio di quei fattori e condizioni che, confluendo e interagendo in un modo o in un altro, danno luogo a un tipo di fenomeno anziché ad un altro. In altre parole, se vogliamo agire e reagire da uomini, non dobbiamo cercare l'individuo per giudicarlo, qualunque sia il suo status o il suo ruolo, ma la persona nella sua storia e nel suo intimo, per incontrarci invece che per scontrarci. Non è facile, ma interessa a tutti sapere che l'umanità, nel suo insieme. può o meno godere di un incommensurabile tesoro, qual è il potenziale energetico- vitale di tutti noi, a seconda che questo avrà la possibilità di esprimersi secondo un'armonica interazione tra i singoli uomini e l'ambiente fisico e sociale: ai fini di un'economia umana, infatti, non serve ottenere comportamenti pre-fabbricati. ma è necessario che ognuno di noi realizzi il proprio potenziale carismatico, è questa la vera ricchezza dell'umanità. Perciò vale la pena di far di tutto per conoscere e far conoscere quanto è necessario sia per favorire il pieno sviluppo della persona sia per evitare che questo processo sia disturbato, e che perciò divampi la «delinquenza».
Lo studio del « metabolismo energetico » ci rivela che la mancata possibilità di investire, impiegare, canalizzare il proprio capitale energetico secondo istanze, che in parte sono comuni alla specie ed anche a tutti gli esseri viventi, ma per un'altra buona parte sono proprie della singola persona, si traduce in accumulo di tensioni, che possono dar luogo a sofferenze ed anche, a malattie cosi dette psico-somatiche. oppure a disturbi di altre espressioni della personalità, sino a vere e proprie manifestazioni di violenza.
In tal modo si spiegano certi fenomeni coincidenti con un'educazione di tipo perbenistico- angelistico oppure con metodiche pedagogiche o rieducative a carattere rabbonente.

Quanto appena detto è particolarmente importante, come già accennato, per capire certi fenomeni legati alla vita carceraria; infatti è già successo che. circondando il detenuto di « persone buone », disposte a dargli una mano ad aiutarlo, non tenendo conto dei suoi modi precedentemente “appresi”, oltre che costituzionali, per impiegare le proprie energie, il tentativo è fallito anche in modo tragico.
Il carattere punitivo e non rieducativo delle misure giudiziarie non alimenta molte speranze per un'evoluzione umana e sociale. Esso serve soltanto a veicolare i risentimenti di vendetta dell’offeso e dell'opinione pubblica tuttora ancorala a un tipo di legalismo farisaico, non illuminato comunque dalle conoscenze provenienti dalle « scienze umane» e, in particolare, dalla psicologia e dalla sociologia.

Purtroppo sono ancora molti coloro i quali, quando sentono parlare di queste nuove branche del sapere, reagiscono secondo pregiudizi, come se queste servano a promuovere una pericolosa tendenza al permissivismo, al libertarismo, all'anarchismo, a sostenere e giustificare ogni operato contro il senso di giustizia e i diritti degli altri.
Dato che in questa sede non è possibile affrontare il discorso generale della persona in modo esauriente, mi limito a ribadire un concetto, quello del « punto di vista energetico », riferito al detenuto. Quando si fa presente che il detenuto è una persona, non si vuol fare della retorica, ma ci si richiama a ben precise conoscenze relative alle varie componenti la personalità, da quelle di ordine biologico sino a quelle dei livelli cosi detti superiori. Per esempio, se arriva al giudizio di chi tutela la sicurezza sociale una persona la quale, o perché la situazione con la quale si è trovata a confrontarsi è stata superiore alle capacità di autocontrollo della media o della stragrande maggioranza degli altri componenti la collettività oppure, ancora, perché essa si è sviluppata in modo distorto o per altri motivi remoti e inconsci, noi come membri sociali, oltre che avere il diritto di essere protetti dalla violenza altrui (ammesso che a nostra volta, sia pur inconsapevolmente e nostro malgrado, inseriti come siamo in un sistema violento, non siamo operatori di violenza nei sensi sopra accennati), avremmo tutto da guadagnare da un'opera di «recupero» e di « ri-educazione », anziché impiegare mezzi e persone per passivizzare chi ancora avrebbe tanto da dare alla comunità, e non solo dal punto di vista economico-finanziario. Da qui si deduce l'assurdità del tipo attuale delle carceri.

Infatti a parte considerazioni utilitaristiche che, vi è da tener presente che quando si toglie ad una persona, oltre alla libertà, la possibilità di canalizzare le sue energie attraverso le vie o i canali, che nella stragrande maggioranza dei detenuti sono l'apparato muscolare e la funzione sessuale, si vengono a determinare delle ripercussioni all'interno dell'organismo connesse appunto con il mancato scarico dell'energia vitale. Questa, accumulandosi, «ingorgandosi» nei tessuti, diviene pericolosa tensione, specialmente se e quando i vari organi ed apparati, per indisponibilità costituzionale o per raggiunta saturazione, non sono più in grado di assorbirne dell'altra.
Pertanto, senza sapere né come si educa o si ri-educa una persona, si ricade nei consueti, tradizionali modi (già ampiamente dimostratisi fallimentari e dannosi) di trattare i nostri simili «divenuti diversi)» e cioè o in quelli della buona volontà o negli altri dei sistemi repressivo- punitivi.

Ora l'esperienza ci dice che le buone intenzioni non bastano, altrimenti non ci sarebbero tanti drammi coniugali, cioè tra due che, sicuri di amarsi, si erano scelti per stare insieme tutta una vita «d'amore e d'accordo»; le comunità religiose, composte di persone le quali hanno voluto lasciare « al mondo » le passioni umane o, se si vuole, gli oggetti di queste passioni, sarebbero delle oasi di pace e di convivenza veramente umana.
La storia, d’altro canto, c'insegna che i metodi repressivi, alla pari delle reazioni violente provenienti dalla base, sono controproducenti, oltre che inefficaci, perché ambedue si alimentano in un circolo vizioso o in una «spirale di violenza».
Le più recenti conoscente scientifiche, non solo ci danno la possibilità di renderci conto del perché la buona volontà e i metodi basati sulla forza (del contrapporre violenza a violenza) «non funzionano», nonché del come sia opportuno operare, ma ci dicono persino che le stesse scienze e le tecniche non sono tutto; basta ricordare, tuttavia, che le scienze psicologiche dell'età evolutiva si sono dovute occupare, nonostante la tendenza «asettica» e affettivamente distaccata degli scienziati, delle conseguenze sulla personalità umana causate da « carenze affettive », cioè da mancanza d'amore ***
Prima di chiudere questo discorso, necessariamente incompleto, mi sembra opportuno assicurare il lettore che, contro l'opinione tradizionale secondo la quale esistono i buoni e i cattivi, vi sono oggi sufficienti dati scientifici per sfatare tale pregiudizio.
Per un avvenire migliore abbiamo bisogno di operatori sociali e penitenziari, preparati e formati come persone, che sappiano stabilire un rapporto da persona a persona, superando i limiti del proprio ruolo, che servirebbe solo a confezionare gli altri secondo gli ordinativi di una società preoccupata solo del rendimento e dei valori economico- fìnanziari.
Le istituzioni totali non possono supplire la funzione genitoriale: gli istituti, infatti, che hanno preso cura dei bambini mollo piccoli, aprendo le porte a questi per uscire in questa giungla della nostra società, all'età di 12 anni, finiscono per alimentare i gruppi antisociali o dei cosiddetti disadattati appunto perché in un istituto mancano le condizioni e i fattori di maturazione per le persone in età evolutiva; ne c'è da credere che la funzione degli operatori, in istituto o in famiglia****, debba essere quella di indurre al conformismo, all'adattamento, all'adeguamento alla mentalità sociale dominante.

Dopo quanto detto dovrebbe risultare sufficientemente chiaro anche che il nucleo del discorso è quello di una evoluzione armonica dell'umanità e che né il destino né la natura dell'uomo sono cattivi.
In appendice a questo capitolo accenno a un altro aspetto della tensione psico- sociale, in genere poco chiaro. Esso mi sembra particolarmente importante perché si è dimostrato responsabile di tanti lutti, soprattutto legati alla violenza ufficiale e di portata internazionale, assurta agli onori della storia sino ai nostri giorni. Ho voluto inserire questo discorso qui perché oggi si sente spesso affermare: « c'è tanta delinquenza perché non ci sono ideali», perdendo di vista i fatti storici, che stanno a dimostrare il contrario; infatti, tradizionalmente, gli « ideali » sono serviti per canalizzare, ed esportare, attraverso le cosiddette guerre sante le tensioni interne, individuali e di gruppo:
seguendo ben noti espedienti empirici e, facendo leva sulla potenza energetica delle emozioni, tali motivazioni servivano appunto a sintonizzare e a finalizzare verso obiettivi, spesso fantomatici, l'azione di eserciti di uomini decisi a sacrificare tutto per ideali ritenuti sacrosanti.
Chi ha pratica carceraria può testimoniare come molti delitti sono avvenuti per difendere certi principi di « giustizia », in difesa dell' “onore” e di molti valori in sé culturalmente « validi ».

I danni provocati dall'esasperazione del valore coraggio e della figura degli eroi aggressivi sono tali che, se gli auspici servono a qualcosa, personalmente auspicherei l'avvento di un mondo senza eroi o, meglio, popolato da persone il cui eroismo trovi modi costruttivi, umani e vitali per esprimersi; infatti, la tensione è essenzialmente dovuta ad accumulo o « ingorgo » di energie, che non hanno avuto modo, per carenze affettive e pedagogiche, di impiegarsi, di essere investite armonicamente con le istanze naturali e sociali, cioè verso la realizzazione dei carismi personali e per un apporto umano alla collettività, che serva alle tendenze maturative del proprio gruppo e, quindi, dell'umanità. Queste prepotenti forze vitali possedute da tipici individui potrebbero essere avviate al servizio dell'ordine nel mondo in un apposito Corpo addestrato, controllato e adeguatamente finanziato da organizzazioni mondiali quali ad esempio l'ONU.
Se, invece, ancora si continuerà a rincorrere alla cieca formule ideologiche, senza tener conto di conoscenze, che ci informano sulle caratteristiche dell'energia vitale e sui modi di utilizzazione in senso bio- socio- economico, allora avremo sempre fenomeni di tensione, che alimenta circoli viziosi o la così detta spirale della tensione, e avremo le carceri sempre più affollate e tempestose.

*Tra le condizioni socio-ambientali, che mobilitano e scatenano reazioni violente e che regolano atteggiamenti e comportamenti, sia quelli “antisociali » sia quelli " perbenistici ». vi sono situazioni di fatto, quali le disparità di status sociale, di posizioni di vantaggio economico finanziario, ecc. : esse determinano fatalmente reazioni di invidia e di rivalsa che. a loro volta, motivano, tentano e spingono fortemente al delitto contro la proprietà e, anche contro i proprietari stessi.
Di fronte ai beni materiali, in un contesto sociale, vi sono persone che, per doti personali e per condizioni accidentali (« fortuna “), riescono a inserirsi produttivamente in un filone del sistema, a volte anche a costo di seri sacrifici e di duro lavoro, mentre altre, per ragioni opposte (anche queste in vario modo combinate) rimangono o cadono in situazioni di svantaggio,
In realtà dal punto di vista psicologico, vi è in ambedue i “fronti” un'esasperata tendenza alla possessività : si può aggiungere che nel modello di famiglia nucleare in effetti il bambino viene “educato" alla possessività, come alla competitività e all'alienazione, sino a livelli definibili come “ morbosi »; tale tendenza si manifesta in una insaziabile fame di beni. che vengono accumulati senza tener conio degli altri; gli eventi della vita portano, quindi, l'individuo verso posizioni di possesso legale verso il mestiere, illegale, di ladro.
Chi ne va di mezzo? Tutti, perché vengono a mancare le condizioni per costruire un sistema di sicurezza sociale, meno precario di quello esistente e che, alimentando il circolo vizioso dei due tipi di possessività, monopolizza tutte le nostre energie verso tale tipo di affaticamento affannoso, senza lasciarne molte alle istanze di vera crescita umana.
A parte le situazioni oggettive, vi sono da tener presenti i modi secondo i quali vengono da ognuno di noi vissute: c'è chi si sente o, più precisamente si risente perché non è ricco, c'è chi si sente inferiore perché non ha un titolo di studio,, oppure per lo status sociale della famiglia di origine, ecc, I sentimenti di inferiorità sono alla base dell'invidia e, com’è noto, ogni vissuto di frustrazione genera reazioni di aggressività distruttiva e violenta. Gli oggetti di tali reazioni possono essere, per la psiche umana, anche sostitutivi.

**Nel discorso parlato, le componenti emotive degli interlocutori portano facilmente a scivolare su posizioni polemiche, inoltre, per mancanza di tempo, non si ha la possibilità di esporre i vari punti di vista in modo completo.

***Da tenere presente che la parola “amore” è usata ancora tanto a sproposito,. che si arriva a confondere con l'amore il bisogno possessivo dell'altro: si pensi alle motivazioni per cui spesso si desiderano i figli.

****Nel precitato libro, in corso di stampa, sì è parlato anche delle carenze della famiglia nucleare.